Risale a duecento anni fa l’inizio della guerra che nel 1830 portò all’indipendenza – ancorché parziale – della Grecia. Nell’incipit del volume La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno (il Melangolo, pp. 144, euro 10), Francesca Sensini cita un poemetto che, secondo la tradizione popolare, testimonierebbe la difficoltà di studiare e coltivare la lingua greca durante quasi quattro secoli di dominazione ottomana. Quei versi, che suonano un po’ come una preghiera infantile, rievocherebbero infatti le scuole segrete organizzate di notte dai sacerdoti ortodossi.

TRAMANDARE questo breve componimento equivale per l’autrice a preservare «la lunga memoria della Grecia nell’animo delle nuove generazioni». Ed è proprio sulla nozione di memoria che il saggio, redatto in forma confidenziale perché scaturito dall’innamoramento per la storia e la lingua dei Greci, s’impernia. Sensini, docente di Italianistica presso l’Università di Nizza – Sophia Antipolis, vuole dimostrare che la lingua e la civiltà greca sono il nostro comune bagaglio di cittadini europei ma che ciò non dipende da studi ormai ridotti a «tecnica o ginnastica mentale» bensì da un «dato storico e di civiltà». A conforto della sua teoria chiama dunque in causa Ugo Foscolo, che nel 1808 scrisse al diplomatico prussiano J. S. Bartholdy: «finché mi ricorderò chi sono, mi ricorderò della Grecia». Forse perché a cullare il corpo fanciulletto di Foscolo furono le stesse sponde in cui nacque Venere, il poeta eleva la Grecia a risorsa perenne di impeti vitali. È tuttavia in una patria ideale, impregnata dell’eco omerica, che per l’autrice s’innesta il sogno della cultura occidentale. Cultura che sarebbe vittima di un abbaglio: mentre, infatti, nel tardo impero romano si continuava a guardare all’Urbe come all’epicentro della «civiltà ellenistico-romana», questa era già migrata nel Mediterraneo orientale.

MAGGIORE CHIAREZZA nei riferimenti storici e archeologici avrebbe certamente giovato alla comprensione dei fenomeni che Sensini intende evidenziare per riscattare un’epoca, quella bizantina, la quale – contro ogni pregiudizio – portò nuova luce a un mondo antico in disfacimento. A tale proposito è convocato anche Giacomo Leopardi che, in occasione della rivoluzione del 1821, vantò la forza «auto-conservativa» del popolo greco. Il libro non ha un vero e proprio filo conduttore ma si sviluppa sulla scia delle suggestioni dell’autrice che, scandagliando l’etimologia di parole emblematiche prova a ricostruirne il senso più profondo, spaziando dal mito e dalla lingua degli antichi al neogreco. Operazione affascinante ma non priva di insidie. Come quando Sensini si cimenta con il concetto di «stato» (espresso in greco antico dalla parola pólis e nella lingua moderna da krátos) inerpicandosi in un’analisi, che è anche ricerca di un’idea di politica, da Esiodo a Pavese.