Da General Hospital passando per E.R. o Grey’s Anatomy, la vita in corsia ospedaliera è argomento prediletto su piccolo schermo. Lo sguardo di Mattia Torre (tanto teatro e il cult Boris nel curriculum) in questa nuova produzione in otto episodi, La linea verticale, disponibili per i patiti del binge watching compulsivo su RaiPlay a partire dal 6 gennaio e dal 13 gennaio in quattro «canoniche» prime serate su Rai3, parte però da differenti presupposti. Intanto perché superando il classico plot malattia-amore-melodramma, Torre mette in scena una sua esperienza diretta: anche lui come il protagonista Luigi (Valerio Mastandrea) si è ammalato di cancro (ne è guarito e ha già parlato dell’esperienza in un libro edito da Baldini e Castoldi), e perché la scelta è stata quella di mantenere un registro che a toni inevitabilmente drammatici alterna una vena surreale e satirica. «Più che dall’esigenza di raccontare una vicenda personale – spiega l’autore-regista – il desiderio è stato quello di raccontare, nell’Italia di oggi, un reparto oncologico di un ospedale pubblico di assoluta eccellenza, capitato da un chirurgo che ribalta il cliché del primario barone arrogante e scollato dalla realtà, e che anzi rappresenta, per gentilezza e generosità verso il proprio mestiere, l’idea di un’altra Italia possibile».

Mastandrea alla sua seconda esperienza in un format seriale – la prima Buttafuori (2006), mini sitcom di Rai3 sempre ideata da Torre – è alle prese con un ruolo complesso, dalle molte sfaccettature giocato su registri dai toni drammatici e insieme ironici, quasi spregiudicati: «Luigi – spiega l’attore romano – è un uomo che guarda, osserva. È centrale nella storia ma in certi momenti sembra quasi al di sopra delle parti. La verità è che mi sono immerso nel personaggio: ci sono tanti modi per affrontare temi di questo tipo, ma questa è una chiave diversamente autentica, mai banale, con uno sguardo molto in avanti». Torre sceglie una narrazione fuori dalla struttura tradizionale, non una trama e due sottotrame ma una serie di vicende decisamente realistiche e di personaggi «veri» mai caricaturali. La voce off di Luigi accompagna lo spettatore negli intrecci del dramedy che anche nella sua durata, venticinque minuti a episodio, è un formato inusuale per la tv di stato.

Accanto a Mastandrea, centrale la figura della moglie Anna (Greta Scarano), un figlio e un altro in arrivo, che lo spinge a reagire e a non lasciarsi andare: «La linea verticale del titolo – sottolinea sempre Mastandrea – implica di stare in piedi e in vita: verticale è la rabbia, la speranza». Nel mondo a parte del reparto oncologico, gravitano medici di valore (Elia Schilton) disincantati (Ninni Bruschetta, Antonio Catania) e cinici (Federico Pacifici), ma al centro delle vicende – ed è questa la novità – sono i pazienti ed il loro punto di vista.