Primo soccorso ieri per la nave Eleonore dell’ong tedesca Lifeline, che ha salvato 101 persone, tra loro 30 minori (la metà non accompagnati). Li hanno individuati a 31 miglia da Al-Khoms: «Il gommone stava affondando, è stata una questione di minuti», hanno raccontato da bordo. A trovarli è stato l’equipaggio, avvistandoli all’orizzonte tra le onde: «I mezzi aerei di Frontex non ci hanno inviato alert, è un fatto gravissimo – spiegano i volontari -. Un aereo spagnolo era sopra di noi e sopra il gommone ma non ha inviato una richiesta di intervento. Hanno invece immediatamente chiamato la cosiddetta Guardia costiera libica, che è arrivata a tutta velocità mentre era in atto il soccorso». E ancora: «La marina di Tripoli è arrivata a 50 metri da noi, minacciosa verso il nostro equipaggio. I naufraghi avevano molta paura, ci hanno detto “non vogliamo tornare in Libia”. Hanno ignorato la disposizione in tema di soccorso, che prevede di mantenere una distanza di sicurezza di 500 metri, disturbando il salvataggio. Il nostro capitano, Claus-Peter Reisch, è dovuto intervenire per proteggere le persone a bordo, solo così le milizie hanno finalmente rinunciato».

I 101 SONO STATI DUE GIORNI in mare: nel gommone solo due camere d’aria su cinque erano ancora gonfie, gli escrementi di uccelli tempestavano i tubolari, testimonianza delle lunghe ore di navigazione. Proprio mentre il team dell’Eleonore era in azione, distribuendo giubbotti di salvataggio per il trasbordo sul tender che poi li avrebbe portati sulla nave, una delle due camere d’aria ha iniziato a perdere: le ultime 40 persone sono state tratte in salvo il più rapidamente possibile direttamente sulla nave. «L’equipaggio dell’imbarcazione di salvataggio ha distrutto l’ultima camera d’aria rimasta – ha poi spiegato il capo missione, Martin Ernst – come prescritto per legge. In base all’odore che si è sprigionato, i tubolari erano gonfiati con i gas di scarico. Questo non è insolito». Una pratica due volte pericolosa: provoca intossicazioni quando si sprigiona il gas, che lascia una condensa acida.

LE PRIME VALUTAZIONE mediche indicano che i naufraghi sono disidratati e sfiniti ma in condizioni non gravi: «Un uomo ha una vecchia ferita da arma da fuoco nell’area dell’articolazione del ginocchio e, dopo il pasto per tutti a base di cous cous con salsa di pomodoro, ceci e fagioli, sarà visitato di nuovo – raccontano -. Ci stiamo dirigendo verso Nord, abbiamo bisogno urgentemente di un porto sicuro. La Eleonore è lunga appena 20 metri, entro 36 ore avremo bisogno di fare una sosta perciò è necessario trovare rapidamente una soluzione. Il capitano ha chiesto l’intervento della Germania per ottenere un luogo di sbarco».

LA LIFELINE a giugno 2018 fu al centro di un braccio di ferro tra i paesi europei: dopo una settimana, i 234 naufraghi scesero a Malta, la nave venne sequestrata e il capitano indagato. Il capitano è tuttora sotto processo e anche la nave è ancora sotto confisca. Chi aveva diritto all’asilo venne ricollocato tra 8 paesi, gli altri respinti. Negli accordi di redistribuzione non c’era la Germania: il ministro dell’Interno Horst Seehofer spiegò che bisognava evitare di creare un «precedente». Dopo un anno, con la minaccia sovranista alle porte, il governo federale ha cambiato politica.

LA MARE JONIO della piattaforma Mediterranea, partita giovedì sera da Licata, si è mossa ieri verso la Eleonore. Con la motonave italiana ci sono due barche a vela di supporto: la Matteo S. (una presa in giro di Salvini) della stessa Lifeline e la Shimmy di un armatore napoletano. «La Mare Jonio è a sei ore di navigazione, sta andando a dare una mano perché la Eleonore è lunga circa la metà della nostra e, sopratutto, i libici continuano a tallonarla», spiega Beppe Caccia.  Da Mediterranea arriva la denuncia di quanto sta accadendo nel Mediterraneo centrale: «In Libia c’è la guerra civile, che si combatte anche in mare. Le navi militari di molti paesi pattugliano le acque con una intensa attività di jamming» cioè di deliberata interferenza dei segnali Gnss e Gps. Domenica sera a bordo della Mare Jonio non funzionava la bussola digitale né il timone automatico e neppure i sistemi radio».

SI NAVIGA con i mezzi tradizionali e senza alcun supporto dalla missione Ue Frontex: «I Comandi militari e i Centri di coordinamento europei non rilanciano le segnalazioni di imbarcazioni in difficoltà, attraverso i canali di comunicazione previsti dal diritto marittimo e dai protocolli Sar, come sarebbe loro dovere fare. Pare contattino unicamente le autorità libiche». Per poi accusare: «In un clima di connivenza da parte degli stati Ue, sembra sia diventata prassi ordinaria un crimine gravissimo: respingere le persone verso un porto non sicuro, in un paese dove sono a rischio di vita e trattamenti inumani».