Sale alle stelle la tensione in Libia e le istituzioni del post-Gheddafi – caduto grazie alla guerra aerea della Nato – appaiono sempre più fragili. La scorsa domenica è stato preso d’assalto da miliziani armati il Congresso generale nazionale (Cgn), il parlamento di Tripoli. Il presidente del Congresso, Nuri Abu Suhmein è apparso in seguito sugli schermi della televisione pubblica, denunciando il ferimento di due deputati che cercavano di lasciare la zona a bordo delle loro autovetture. Sahmein ha fatto riferimento all’irruzione di «alcuni manifestanti armati» nell’edificio.

Era il 10 ottobre scorso quando un gruppo di miliziani tenne in ostaggio per alcune ore il premier libico Ali Zeidan. Da quel momento il paese è precipitato in una serie continua di violenze tra milizie che ha profondamente influito sui timidi tentativi di ritorno alla normalità. Lo scorso 17 febbraio, terzo anniversario dallo scoppio delle rivolte del 2011, centinaia di persone sono scese in piazza a Tripoli per protestare contro il prolungamento del mandato del Congresso, deciso dai deputati libici. I manifestanti hanno assicurato che avrebbero boicottato gli imminenti appuntamenti elettorali. E così è stato, l’Alta commissione elettorale nazionale (Hnec) ha annunciato infatti dati estremamente deludenti sia in fase di registrazione degli aventi diritti sia di affluenza alle urne in occasione delle due tornate elettorali per il referendum costituzionale del 20 e 26 febbraio scorso, per la formazione del Comitato dei sessanta, incaricato di redigere la nuova Costituzione.

Come se non bastasse, non si placano le violenze neppure a Bengasi. Sette sono i morti nella sola giornata di domenica. Uno degli uccisi è un cittadino di nazionalità francese, l’ingegnere Patrice Real. Proseguono quindi gli episodi di attacchi mirati a stranieri dopo il grave attentato all’ambasciata degli Stati uniti del settembre 2012 che aveva provocato la morte del rappresentante di Washington in Libia, Chris Stevens.

Non solo, un ufficiale delle forze speciali è stato ucciso in un attentato. Omran Jumaa Al Obeidi è morto nell’esplosione di un ordigno piazzato sulla sua auto. L’uomo si trovava a bordo del veicolo al momento della deflagrazione avvenuta nel quartiere Salmani. Gli altri cinque cadaveri sono stati ritrovati a 40 km da Bengasi: uccisi da colpi d’arma da fuoco e con evidenti segni di tortura. Si tratterebbe di cittadini libici.

Anche a Bengasi si sono svolte numerose manifestazioni negli ultimi giorni. I cittadini protestano per i ripetuti episodi di violenza che stanno colpendo quotidianamente civili, esponenti delle forze di sicurezza, giornalisti e attivisti. Un gruppo di persone ha bloccato la circolazione delle vie cittadine principali con sacchi di sabbia e copertoni bruciati per protestare contro i continui omicidi. La scorsa settimana sono stati ritrovati i corpi di sette egiziani su una spiaggia del capoluogo della Cirenaica. Negli stessi giorni, 5 ufficiali sono stati uccisi in diversi agguati. Le vittime erano ufficiali delle forze speciali e un ex ufficiale della polizia giudiziaria.

Non solo, lo scorso sabato, un gruppo di uomini armati aveva teso un agguato al capo del Consiglio militare a 500 km a est di Sirte. L’alto ufficiale ucciso è Makhlouf Ben Nasseur al Ferjani, morto a causa di ferite d’arma da fuoco alla testa e al petto. Infine, prosegue il processo a carico di Saif al Islam Gheddafi, figlio del colonnello, detenuto nella città di Zintan dopo la sua cattura nel novembre del 2011 nel sud del paese. Saif è accusato di aver tentato l’evasione e di aver oltraggiato la bandiera libica. La Corte penale internazionale ha spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti nel giugno 2011.