Luogo della mente, oltre che doloroso paese sempre presente nella cronaca, la Libia di inizio Novecento è raccontato da Giovanna Gagliardo nel documentario Il mare della nostra storia, la «quarta sponda» trasformata dagli italiani in magnifica residenza estiva, occasione di lavoro per i nostri migranti, teatro di guerra scandito da orribili eventi rimasti ancora tabù, come prova il supervietato Il leone del deserto, il film di Mustafa Akkad sul condotiero Omar al-Mukhtar.
La regista utilizza spavaldamente i filmati del Luce per entrare nel terreno minato, ci avvicina irresistibilmente a questo doppio contesto, quello delle residenze principesche in riva al mare e quello delle impiccagioni, dei levrieri portati a passeggio e della cacciata di tutti gli italiani nel 1970. Ora che la Libia continua ad essere paese cruciale per la nostra politica, il film ci racconta quel passato scomparso di cui rimane traccia nel ricordo e nel racconto di quanti vissero lì prima della cacciata in massa degli italiani costretti a lasciare tutti i beni senza risarcimento, anticipata da quella di tutti gli ebrei nel 1967 dopo la guerra dei Sei giorni. I filmati del Luce raccontano stralci di vita quotidiana, le splendide costruzioni, le scene di vacanza, le parate, i pennacchi del re più alti di lui. La perdita della colonia nel ’43 e la successiva rivoluzione di Gheddafi portarono anche alla distruzione dei monumenti degli architetti italiani. Commenta tutti gli eventi lo storico africanista Luigi Goglia, ricorda le amate stanze di un mondo scomparso Marina Cicogna, l’imprenditore musicale David Zard scomparso pochi mesi fa racconta i suoi esordi e la sua amicizia con Herbert Pagani, una piccola colonia di ebrei ha trovato ad Anzio l’approdo che ricorda l’altra riva, Tripoli «principessa del Mediterraneo». L’inizio trionfale procede verso un futuro sempre più drammatico, la questione di affari fra Gheddafi e la Fiat, la concessione del ritorno in Libia con la scoperta che sul cimitero ebraico hanno costruito grandi alberghi fino al tragico epilogo del 2011. Un magnifico lavoro che riempie di immagini, sensazioni e collegamenti storici il luogo che maggiormente viene nominato quotidianamente e che oggi assume solo il significato di prigione di migranti.