libertà

«L’uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita». Il pensiero è di Spinoza, ma riflette lo spirito con cui Giulio Giorello, nel suo recente saggio La libertà (Bollati Boringhieri, pp. 175, euro 11), affronta una delle dimensioni fondamentali dell’essere umano, annunciata dal titolo. Senza libertà, ovvero privi delle tre forme principali in cui si può analizzare (Freedom, Liberty e Enfranchisement: libertà, indipendenza, emancipazione), non solo il singolo, ma è l’intera società a soffrire. Davanti agli attacchi degli «entusiasti di Dio», dei fanatici taglia gole e di chiunque voglia imporre il proprio credo agli altri, la lotta per l’emancipazione sembra essere una improrogabile necessità per garantire un futuro all’umanità, o per realizzarla. Questa la battaglia dell’irlandese Bobby Sands, per esempio, che si lasciò morire in carcere per rivendicare i propri diritti politici, o del sindacalista J. Connolly, pensatore e leader di un paese, l’Irlanda, dove fu fucilato seduto su una sedia, perché non riusciva più a stare in piedi. «Coloro a cui sta a cuore la libertà più che la vita… mai, mai, mai vorranno cedere il cielo stellato scandagliato dal cannocchiale di Galileo per quel “miraggio nella nebbia” che è la promessa di una salvezza offerta da una qualsiasi sottomissione».

Sotto quel medesimo cielo Giorello racconta di pirati e schiavi, filosofi e scienziati e di come ognuno di loro abbia sempre gridato le parole: «mai, mai, mai». Un infinito eros per la vita fonda la coscienza del ribelle, il quale ha la responsabilità di lottare anche per chi si offre volontariamente schiavo, avendo smarrito il desiderio. (Tale concezione si fonda sull’abbandono della teoria agostiniana del male, per accogliere invece l’idea spinoziana secondo cui il male è perversione di conatus, di auoconservazione.)

Di nuovo Spinoza: la cultura della vita contro l’ideologia della morte; non è un caso che il nemico inneggi alla fine – si pensi al «viva la muerte!» di Franco; chi odia la libertà non comprende il desiderio, e non sa cogliere il canto dei grandi pirati: «Non abbasseremo mai la nostra bandiera nera, e se ci negano i mari, solcheremo l’aria». La libertà infatti – e Giorello lo sottolinea virtualmente in ogni pagina – non è un concetto, ma un orizzonte di vita. Viene prima della verità, e addirittura della democrazia. Sia l’una che l’altra non sono paragonabili a un porto sicuro, bensì al viaggio tra flutti e tempeste, come quello che accompagnò Ulisse, in un mare dove il timoniere dovrà ogni volta cercare la rotta migliore fra le avversità.

Tra le pagine più appassionate di questo lavoro emerge la volontà e l’auspicio di diffondere nelle istituzioni e nei cittadini lo spirito critico della mentalità scientifica, poiché «la scienza che reclama per sé libertà insegna col proprio esempio a lottare per la libertà».

L’obiettivo è raggiungibile anche con lo strumento dell’ironia. Il riso, rivelando il vuoto dell’imperium, è sovversivo. È inviso alle istituzioni – si pensi al vecchio Jorge de Il nome della rosa – perché dissacra, ovvero confessa una libertà che il singolo, per il fanatico, non dovrebbe prendersi né desiderare.

I libertari sono come i Greci ricordati da Eschilo nei Persiani: «Hanno fama di non essere schiavi a nessuno, di non obbedire a nessuno». Attingendo da Nietzsche, Giorello sottolinea che solo chi è capace di ribellarsi all’oppressione è persona veramente responsabile. E la responsabilità è innanzitutto una questione della mente: «La mente è la cosa più importante Se non riescono a distruggere il tuo desiderio di libertà, non possono stroncarti» (Bobby Sands).
Il libro di Giorello è un vero manifesto libertario pensato per accompagnare chi non vuole arrendersi alla tirannia dell’ignoranza bigotta. Lo sapeva bene Malcolm X: «nessuno vi può dare la libertà. Nessuno vi può dare l’uguaglianza o la giustizia. Se siete uomini, prendetevela».