Panos Cosmatos è il figlio di George Pan Cosmatos, il regista di classici come Rambo 2 – La vendetta, il magnifico western crepuscolare Tombstone, il classico catastrofico Cassandra Crossing e soprattutto l’epocale Cobra. Fattosi notare con Beyond the Black Rainbow, un incubo lisergico e fantascientifico, analogico e in bassa definizione, come un detrito settantesco recuperato da un fanatico del vhs, attraversato dalle magnifiche musiche e dai sintetizzatori di Sinoia Caves, Cosmatos torna a distanza di otto anni con Mandy, un altro film follemente fuori dal tempo.

Ambientato nel 1983 (non proprio un anno a caso), il film racconta sommariamente la storia di Red (un Nicolas Cage splendidamente sopra le righe, mai così «Ufa-Actor», stando alla celebre definizione che Coppola – suo zio – gli ha affibbiato conversando con Scorsese… e che ci è giunta tramite Paul Schrader) che si vendica della banda di biker demoniaci giunti da chissà dove che gli hanno ucciso la moglie.
Rispetto al film precedente, Cosmatos alza al massimo il volume e la distorsione psichedelica. La grana porosa dell’immagine, la musica onnipresente del compianto Jóhann Jóhannsson (scomparso lo scorso febbraio a Berlino), i colori saturi come se il tecnico addetto alla color correction avesse lavorato in uno stato di perenne stupore psicotropo, i tempi dilatati e completamenti anti narrativi, provocatoriamente sensoriali, fanno di Mandy un esempio di cinema assolutamente imprendibile.

Come uno slasher movie in acido, il film è un’irresistibile dichiarazione di indipendenza creativa e non assomiglia a nulla di quanto attualmente è in circolazione. Bisogna osservare l’arrivo dei biker nella casa del protagonista per capire a quale grado di follia può giungere un regista nel pieno (non) possesso delle sue facoltà mentali.
L’uso della musica di Jóhann Jóhannsson (immaginare i Sunn O))) in stato di ebbrezza dionisiaca…), al di là di qualsiasi logica narrativa, fanno di una scena che in un normale horror durerebbe al massimo qualche minuto, un vero e proprio happening. Tutto è così spudorato che si fatica a credere ai propri occhi. Kenneth Anger, il TOPY, i droni più oscuri del doom metal, lacerti strappati alle follie più visionarie di Métal Hurlant, tutto concorre a creare un tessuto visivo e sonoro libero e oltraggioso.

Questa tensione sperimentale di Mandy cala lievemente nella seconda parte quando Red si trasforma in una specie di Ash che massacra senza pietà gli aguzzini della moglie (evocando anche il ricordo del magnificamente «pessimo-ma-bellissimo» action movie cageiano Drive Angry…). Cosmatos, però, non toglie mai la pressione dall’acceleratore: i fondali evocano le copertine black metal più visionarie, Cage (mai così tongue in cheek) impegnato a dimostrare di essere il «peggiore» attore dell’universo esplorato e il tutto senza che la musica cessi per un solo momento. Mandy è un film che definire eccessivo è poco e che opera una selezione naturale alla porta. Una volta avremmo detto che è un cult-movie.