Annarosa Buttarelli: «Riprendiamo il nostro dialogo sull’uso improprio della parola libertà? Da parte mia, vorrei che si conoscesse e si imparasse (quasi fosse una materia obbligatoria nelle scuole) la lezione di Simone Weil sulla libertà. La filosofa insegnava che si è veramente liberi /e solamente se si ha una sola scelta da poter fare, mentre il neoliberismo e il suo mercato propongono sempre infinite scelte in nome della libertà di scelta. Per esperienza, si assapora una certa serenità nel momento in cui l’unica scelta che le circostanze offrono diventa assunta interiormente come il compito irrinunciabile del proprio momento storico. La serenità è il dono del fare profondamente proprio il senso della necessità, che è un altro modo per dire che l’impegno in prima persona nell’assumere l’unica scelta contestualmente presente, rende pienamente liberi/e. Non aveva torto il detto popolare “Fare di necessità, virtù”. Ma tu ritieni che sia possibile oggi proporre questo passaggio?».

Sarantis Thanopulos: «Il neoliberismo elimina la scelta. Le infinite possibilità di scelta implicano l’assenza di un legame vero con l’oggetto scelto che diventa interscambiabile all’infinito. Il neoliberismo, in altre parole, induce una necessità di consumo senza uso reale delle cose che diventa anche paradigma dei rapporti tra di noi. Veil è nel giusto. Tutte le possibilità reali di scelta si riducono alla fine ad una. Éric Rohmer ha associato uno dei suoi film più belli, Le notti della luna piena, al proverbio (nella prima parte inventato): “Chi ha due donne perde l’anima, chi ha due case perde il senno”. Ci chiediamo sempre: “la mia (unica) scelta è frutto di necessità o di libertà”? Difficile dissociare questi opposti. Il prevalere della necessità soffoca la libertà, ma la libertà non è mai avulsa dalla necessità. Come uscirne?

Pensiamo alla pandemia. La necessità di sopravvivere ad ogni costo riduce tutto al bisogno, abolisce la scelta e la libertà. La prudenza che ci porta a valutare con attenzione, verso di noi e verso gli altri, lo spazio in cui il nostro desiderio può continuare a vivere in un ambiente non favorevole e non a suicidarsi affettivamente, è amica della libertà e impedisce alla necessità di cancellarla. La prudenza, mette in campo il limite, il senso della misura. La libertà implica la misura, il limite perché diversamente diventa onnipotenza. Quindi pur non potendo ignorare la necessità, la libertà se ne emancipa alleandosi con il senso del limite (qualità che, mi piace ripeterlo, è femminile). Se non posso vedere gli amici non sono libero e se sfido la sorte rischio di essere onnipotente. Ma se mi rifiuto di considerare naturale lo stato di necessità, collegandolo alle scelte disattente, scellerate (niente affatto necessarie, ma frutto del nostro accecarsi volontariamente) che l’hanno determinato, se contesto la loro reiterazione e critico lo stato d’inerzia, alleato della compulsione, in cui viviamo, la libertà mi sorride ancora».
Annarosa Buttareli: «Vedo che stiamo facendo uno sforzo per togliere dalla sciatteria la parola “libertà”. Aggiungo una delle capacità filosofiche più importanti: il discernimento. Era considerato una pratica fondamentale anche per l’allenamento spirituale. Mistici e mistiche, ad esempio, lo perseguivano e consigliavano di perseguirlo, e noi sappiamo che loro percorrevano la via impervia verso l’essenziale del pensiero e del linguaggio. L’idea di rilanciare la capacità di discernere me l’ha suggerita il tuo riferimento alla prudenza.

La tua è un’indicazione molto opportuna in questo tempo che si affida alla violenza dei social: bisognerebbe tornare alla pazienza di farsi largo nella confusione e nell’ignoranza. Un’altra preoccupazione è proprio questa: la violenza dell’ignoranza sta dilagando».