Lo scorso anno, durante il Festival di Cannes dove era stato presentato al Certain Regard, parlando del suo film di esordio Mounia Meddour diceva che la scommessa era stata quella di tornare su un decennio, gli anni Novanta della guerra civile in Algeria, da un punto di vista femminile: «Questo passaggio della storia algerina è stato raccontato molto poco: qualche serie lo ha affrontato, ma pochissimi film ne parlano, è ancora più raro che siano raccontati dal punto di vista femminile. La protagonista è una ragazza che mette in atto una forma di resistenza durante la guerra civile, e penso che sia necessario riflettere su quegli eventi anche per trasmetterli alle generazioni più giovani» aveva detto.

FORSE era stato proprio questo a disturbare le forze più conservatrici in quel momento al potere nel Paese, e a bloccarne la proiezione, qualche mese dopo, a Algeri nonostante la candidatura agli Oscar.Da ieri, dopo il rinvio dovuto invece al lockdown, Papicha – che in Francia ha vinto due Cèsar, uno per il miglior primo film l’altro all’attrice emergente, la protagonista Lyna Khoudry – è in sala in Italia grazie a Teodora film col titolo Non conosci Papicha, una bella occasione per tornare davanti a un grande schermo dopo tanti mesi con una storia appassionata, piena di emozioni, vissuto, raccontata da un punto di vista femminile che si allarga sul mondo. E non è semplice appunto parlando di quegli anni che tra interrogativi e almeno al cinema un’«iconografia» un po’ stereotipata, obbligano a cercare forme e personaggi che vi sfuggano, capaci di vivere nella Storia in un confronto vitale col presente. E questo sembra essere il punto di partenza di Meddour che mette in costante dialogo la sua ricostruzione storica e l’attualità nella battaglia contro l’oscurantismo, gli integralismi religiosi, le politiche corrotte, il patriarcato secolare mascherato da morale, la violenza verso la libertà specie se di una donna.

LA PAPICHA del titolo – che vuol dire ragazza bella e con una sfumatura negativa perché troppo indipendente – è Nedjma (Khoudry) studentessa all’università francese con il talento per la moda. Crea abiti dai tessuti tradizionali che modella sulle sue amiche, fantastica un futuro di stilista, il corpo femminile è il suo laboratorio in cui coltiva visioni, immaginazione, indipendenza. Ma la realtà intorno sta cambiando rapidamente, siamo agli inizi del «decennio nero», la guerra civile tra militari golpisti al governo e integralisti islamici più molti «buchi» neri e manipolazioni internazionali, tanto che ancora un tabù definire così, finita con l’elezione alla presidenza di Bouteflika – finalmente dopo vent’anni di corruzione e soprusi costretto dagli algerini a ritirarsi lo scorso anno.

Nedjma ama la musica, ballare con le amiche, vende i suoi vestiti in discoteca la notte a altre ragazze; sta organizzando una sfilata ma uscire è ormai pericoloso, gli uomini si sentono autorizzati a minacciarle, a punire quel fastidio che gli provocano col rifiuto di sottomettersi; così il portiere del campus che le aggredisce sessualmente o il mercante di tessuti divenuto integralista che ha messo via le stoffe a colori per riempire le vetrine di nero e di hijab. La sfilata è per tutti questi una provocazione, la spudoratezza di una ragazzina mentre la sorella di Nedjma, giornalista, viene minacciata più volte di morte dagli integralisti.

In questa storia di violenza, di sopraffazione e insieme di rivolta, intima, in cui certo entra del vissuto della regista, e insieme parte di un paese seppure non ancora sviscerata, Meddour è sempre accanto alla sua protagonista ma questa «vicinanza» che è emozionale e di affinità diviene soprattutto una scelta di messinscena: la macchina da presa, spesso utilizzata spalla, si incolla ai corpi esuberanti e pieni di dolcezza delle ragazze, segue il conflitto che le oppone alla loro realtà, coglie le lacerazioni tra il desiderio di resistere e la necessità di fuggire. È il sentimento di una generazione, e di un’epoca, e al tempo stesso di un gesto, la creazione del proprio spazio, che non si è arresio, continua nelle immagini, nell’energia delle sue protagoniste, nella scelta di fare cinema.