«Se avessi saputo come pensavi avrei avrei fatto sì che (nel film) fossero stati i gemelli Winklewoss a inventare Facebook». Così Aaron Sorkin, sceneggiatore di Social Network, e una mente molto raffinata in fatto di media, conclude la sua lettera aperta a Mark Zuckerberg. Pubblicato sul «New York Times» di venerdì, il testo di Sorkin si riferisce al recente discorso presso la Georgetown University durante il quale Zuckerberg – invocando il primo emendamento, che protegge la libertà di parola- aveva ribadito che Facebook avrebbe continuato a postare le inserzioni pubblicitarie dei candidati politici anche se i loro contenuti erano chiaramente falsi.

NELLA lettera, Sorkin nota con ironia come Zuckerberg si fosse scagliato contro le supposte inaccuratezze del film diretto da David Fincher, e quanto gli avvocati della Sony avessero fatto le pulci al suo copione per evitare che lo studio si beccasse una causa per diffamazione da Facebook. A come i luogotenenti di Zuckerberg, cui era stato permesso di vedere il film prima dell’uscita, gli avessero chiesto di cambiare il nome dell’università di Harvard e se nel film Facebook non potesse chiamarsi diversamente… A come Sheryl Sandberg, si fosse indignata: «Come potete fare una cosa del genere a un ragazzo?». Come puoi fare quello che stai facendo a decine di milioni di ragazzi? , chiede Sorkin a Zuckerberg nella lettera aperta.
«Anch’io penso come te che il primo emendamento sia il cardine della democrazia e che debba essere protetto» – scrive ancora lo sceneggiatore – Ma questo non può essere il risultato che tu ed io desideriamo – contaminare le riserve d’acqua di folli bugie che corrompono le decisioni più importanti che dobbiamo prendere collettivamente. Bugie che hanno degli effetti reali, incredibilmente pericolosi sulle nostre elezioni, sulle nostre vite e quelle dei nostri figli».

GLI STUDI cinematografici, le reti televisive, le case editrici, i media sono responsabili dei contenuti che consegnano agli utenti. Lo stesso deve essere per piattaforme come Facebook, sostiene Sorkin, contraddicendo una delle asserzioni cardine di Zuckerberg, e cioè che i social non sono «media» (nonostante, al momento, il news feed di Facebook sia la fonte d’informazione prediletta del 40% degli americani). A prova dell’urgenza con cui si sta guardando al problema della disinformazione circolata in rete (tre le ultime: dopo il pizzagate pedofilo di Hilary, Kamala Harris avrebbe promosso lotte tra cani nella cantina di una pizzeria californiana; e Biden pagato un miliardo al governo Ucraino per proteggere suo figlio Hunter) in vista delle elezioni del 2020, Jack Dorsey, il CEO di Twitter, ha annunciato qualche giorno fa che la sua piattaforma intende bandire qualsiasi tipo di inserzione politica, in tutto il mondo.

L’annuncio di Dorsey – chiaramente una risposta alla posizione di Zuckenberg- è stato applaudito da molti. «Non dare accesso a disinformazione a pagamento è una delle decisioni più basilari ed etiche che una compagnia può prendere», ha twittato Alexandria Ocasio-Cortez. Solo la settimana prima, la deputata newyorkese, in un’udienza del Congresso, aveva affrontato Zuckerberg proprio sullo stesso argomento: «Non vede un problema con la mancanza completa di fact checking nelle inserzioni pubblicitarie politiche? ». «Nella maggior parte dei casi, in una democrazia, credo che le persone debbano essere in grado di giudicare da sé i politici che votano o meno, e il loro carattere», aveva risposto, visibilmente in difficoltà, Mr. Facebook.

giuliadagnolovallan@gmail.com