Porta sulle punte le questioni di genere, Er Gao, giovane danzatore e coreografo di Canton. Un tema che, nella Cina contemporanea si affaccia apertamente sul palco, e più in generale nel dibattito pubblico, solo da pochi anni a questa parte. Classe 1985, fisico esile, Er Gao racconta e interpreta il cambiamento vissuto nel suo Paese con l’avvento della musica disco fra la fine degli anni ’70 e gli ‘80. Un passaggio quasi epocale, all’indomani della Rivoluzione culturale, che ha aperto un varco nella rigida e controllata società cinese modificandone i costumi. Il coreografo, diplomatosi a Hong Kong, dopo aver studiato anche in Francia e Giappone ed essersi esibito in Olanda, nei giorni scorsi è stato ospite a Bologna di Gender Bender, festival internazionale sulle rappresentazioni del corpo, le identità di genere e di orientamento sessuale. Dove ha proposto in prima assoluta la versione solo di Disco-Teca, prodotto da Fabrizio Massini. L’8 novembre lo spettacolo ha debuttato a Canton con una diversa formazione, nei prossimi giorni sarà al Modern Dance Festival di Guangdong. Con Er Gao si apre per Gender Bender una finestra sulla Cina. Fabrizio Massini, che vive lì da anni, sta lavorando per creare una piattaforma delle arti performative legate alle questioni di genere.

Cosa voleva raccontare con «Disco-Teca»? 

La disco music è arrivata in Cina nei primi anni ’80 attraverso Hong Kong. La discoteca è nata come club privato, spesso erano semplici stanzoni. Quella stagione si è chiusa drasticamente nel 1989 dopo gli eventi di Tienanmen, ma ancora oggi all’ascolto delle canzoni di quel periodo la gente si muove, reagisce. La musica porta indietro i ricordi e crea un’immediata risposta fisica, come una sorta di memoria del corpo. Sono nato nell’85 e non ho avuto un’esperienza diretta della discoteca come luogo fisico, ma è legata ai ricordi di famiglia, i miei genitori andavano a ballare. Nell’‘85 si è svolto il concerto del primo gruppo straniero ammesso nel paese, gli Wham, tutti cominciarono a muoversi a ritmo. Fino al ‘78 si indossavano solo le uniformi, dopo la disco music arrivarono le gonne, i rossetti, le capigliature stravaganti, le caviglie scoperte. Ci fu un vero cambiamento di costume. Le rigide divisioni in classi sociali restavano fuori dalla porta delle sale da ballo. Il nostro periodo disco si potrebbe considerare come il vostro ‘68. Con il contributo di Wang Qian, sociologo della musica, abbiamo svolto una ricerca per capire perché quegli anni sono così pregni di energia e significato. Per usare una metafora è come un armadio vecchio da cui si tirano fuori vestiti che richiamano pezzi e frammenti di storia. Il lavoro è un’indagine su cosa c’è dietro questi simboli e perché ancora oggi creano una risposta immediata nel corpo e nello spirito.

In Cina l’educazione del corpo è molto rigida e regolata, nello spettacolo dice «il mio corpo si è svegliato», cosa intende?
La disco music ha un impatto diretto sul corpo. La gente si lascia andare, sfugge alle restrizioni e si muove seguendo il proprio fisico. Ho ricevuto una formazione da ballerino e ci sono codici da osservare, mentre il modo in cui si balla in discoteca è senza regole, una sorta di free style spesso anche poco estetico. Con questa ricerca cerco di capire quando il corpo smette di essere controllato dalla razionalità e guida il movimento. Cosa si risveglia e perché proprio con questo tipo di musica,.

Lei ha citato un decalogo stilato per i movimenti consentiti sulla disco music. Di che si tratta?

La disco è stata codificata, esistono manuali per spiegare come ballarla. Ma non è un’eccezione. È una consuetudine cinese, appena un fenomeno sociale o una tendenza s’impone si vuole codificare. Non appena questo accade viene accettato e trasmesso perché capito, controllato e ripetuto. Si è verificato con la disco music e i balli delle minoranze etniche, formalizzati dall’istituto delle danze etniche di Pechino, che fa una catalogazione per poter comprendere, analizzare e ripetere. Questa è anche la ragione per cui spesso le accademie non inseriscono la danza contemporanea nel curriculum,è difficile da codificare, sfugge al controllo.

Questo permette di usare la fantasia e tutti gli escamotage possibili per scardinare quelle regole e romperle?

In linea di principio è vero, ma a differenza dell’occidente la capacità critica in Cina non è incoraggiata, anzi, c’è una pressione molto forte all’uniformità, a seguire le regole. Io provo a farlo, ma sento una resistenza molto forte. Se non è il partito o il sistema a esercitare il controllo, lo fa il mercato. Seguire un percorso artistico individuale è molto difficile. Quando ho iniziato nella danza contemporanea mi si richiedeva uno stile personale, ma non avevo riferimenti. Non sapevo il significato di espressione individuale.

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In «Disco-Teca» ci sono elementi autobiografici. Perché?

L’ho fatto anche in altri lavori, ma in particolare in questo. Uso la danza come strumento per capire, analizzare e riflettere su cosa è successo nella mia vita. Mentre crescevo non capivo alcuni atteggiamenti dei miei genitori, grazie a questo spettacolo ho imparato molto di più di quel periodo: le idee che circolavano, i comportamenti non accettati poi ammessi e nuovamente negati. È una ricerca artistica che in maniera indiretta mi ha fatto conoscere di più i miei genitori. Mi avevano raccontato di quel periodo, ma dopo Tienanmen la disco music è sparita insieme ad un certo stile di vita che è stato represso. Chi ha vissuto quella stagione ha rimosso ricordi ed esperienze, in famiglia mi raccontavano fino ad un certo punto poi si autocensuravano. È stata una ricerca sociale, culturale, storica, a partire da fatti personali, intimi. Dall’elemento biografico è diventata una riflessione collettiva più ampia.

Perché affrontare il tema dell’identità sessuale attraverso la danza? Nel suo spettacolo accade meno che in altri, ma è una questione ricorrente nei suoi lavori.

È un processo simile al mio coming out, l’ho fatto fuori dalla Cina a diciotto anni, quando ero a Hong Kong a studiare. Prima di quel momento non avevo la possibilità e nemmeno punti di riferimento. Avevo le idee chiare su chi ero, ma non avevo esempi di persone che si erano già esposte, mi mancavano le parole per dirlo. In qualche maniera ho dovuto andare fuori per poterlo esternare, ad Hong Kong, dove molti compagni erano come me e senza problemi ad esserlo. La danza è simile, come entrare in uno spazio altro in cui puoi trovare le parole per dirlo. È stato un processo parallelo: ho trovato il mio linguaggio.