Uno alla volta, i pur angusti spiragli di ripensamento – dell’economia, della società, dell’ambiente – apertisi con la pandemia vanno tutti richiudendosi su se stessi. Altro che niente sarà più come prima! Come prima, più di prima: è questo il refrain che guida la ripartenza. E, dunque: più sregolatezza economica, più ingiustizie sociali, più sfruttamento dell’ambiente. E, in arrivo con le riforme del fisco, della giustizia e della pubblica amministrazione: meno progressività, meno indipendenza della magistratura, meno imparzialità e controlli. Il tutto, sotto la guida dell’Uomo della Provvidenza, che circondato da un manipolo di fedelissimi cantori dell’ultraliberismo, accentra tutti i poteri nelle proprie mani, imprimendo alla verticalizzazione del sistema istituzionale un’accelerazione da far rimpiangere i fautori della governabilità.

Se poi aggiungiamo che prossimo beneficiario della blindatura del blocco dominante sarà l’alleanza fascio-leghista-berlusconiana che vola nei sondaggi, davvero c’è poco da stare allegri.
Un’illuminate spiegazione delle ragioni profonde di questa alleanza, solitamente negata ma che sempre torna a riproporsi, tra poteri tecnici e populismo di destra viene dalla riflessione del filosofo Santiago Zabala dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona, che ha da poco dato alle stampe Essere dispersi. La libertà nell’epoca dei fatti alternativi (Bollati Boringhieri, pp. 195, euro 22), traduzione italiana dell’edizione nord-americana dello scorso anno.

OBIETTIVO DI ZABALA è risalire alle radici del problema. Per farlo, torna sulla contrapposizione filosofica tra realismo ed ermeneutica che è al centro dell’insegnamento del suo maestro, Gianni Vattimo, al fine di esplorarne le ricadute sul mondo di oggi. Da una parte, la posizione di chi ritiene che il reale debba essere oggetto di conoscenza, perché la realtà è una, oggettiva, conoscibile come vera o falsa; dall’altra parte, le tesi – plurali – di coloro che propugnano la centralità dell’interpretazione, la non neutralità dell’osservatore, la fecondità dei punti di vista. Insomma, i fatti contrapposti alle interpretazioni.

Ammettendo l’esistenza di una Verità, i realisti sottraggono spazio alle ideologie e, conseguentemente, alla democrazia e alla libertà. Se la realtà è una, oggettiva, data, è inutile dividersi su come rapportarsi a essa: la sola possibilità è adeguarsi. Alternative – diceva già Margaret Thatcher – non ce ne sono: semplicemente, perché non possono essercene. E così, il riscaldamento climatico, le diseguaglianze planetarie, l’autoritarismo politico non sono problemi da affrontare né, tanto meno, da risolvere. Farlo, significherebbe cambiare, ma cambiare non si può. Di fronte a un qualsiasi scostamento rispetto all’ordine oggettivo delle cose, l’imperativo è che tutto torni come prima. I problemi – strumentalmente proclamati come emergenze, ma al solo scopo di impedire l’emergere delle «grandi» o «assenti» emergenze, come le chiama Zabala: vale a dire delle cause – andranno al più considerati per i loro effetti (a partire dai movimenti migratori dettati da ragioni ambientali, economiche o politiche), che di altro non necessitano se non di essere tenuti sotto controllo.

ECCO, ALLORA, il mondo economico-finanziario andare a braccetto con la più sguaiata destra razzista, se non direttamente con i complottisti e i negazionisti (Trump docet, ma non si sottovaluti la convergenza tra Draghi e Salvini): nel dibattito pubblico dominato dai social, la verità – l’unica Verità – può essere costruita a piacimento, a seconda di quel che più conviene all’«ordine globale bloccato» affidato agli automatismi della tecnica. Se funzionali al mantenimento dell’ordine, anche le «verità alternative» sono le benvenute.
Assumere la prospettiva filosofica opposta al realismo, quella ermeneutica, diventa, allora, una scelta politica decisiva, la sola suscettibile di consentire la riapertura di spazi di deliberazione democratica e di libertà. Interpretare significa rompere l’ordine, spezzare il blocco, affermare l’esistenza di alternative. È – dice Zabala – una lotta, perché la libertà va conquistata: «l’interpretazione non è una tranquilla attività contemplativa da svolgere con disimpegno; è un esercizio attivo che richiede uno sforzo anarchico».
L’interpretazione apre al confronto e il confronto, se è reale, è ingovernabile: nel suo svolgimento e, soprattutto, nel suo esito. Se il realismo è la fine della libertà, l’interpretazione ne è, insomma, l’inizio. E, allo stesso tempo, è l’inizio di quell’esigenza di cambiamento – fortemente emersa con la pandemia, ma già da tempo necessaria – che i poteri dominanti, costi quel che costi, sono determinati a impedire.