La sinistra è arrivata col polso debolissimo sul ring delle elezioni presidenziali. Ha messo i guantoni e ha cominciato a combattere con se stessa. Gli avversari non sono saliti sul ring. L’Italia clericale e fascista non combatte a viso aperto, gli basta che vengano garantiti i propri interessi. E se questo lavoro lo fa un ex comunista non c’è problema. L’elezione di Napolitano per come è maturata è la pagina più nera della nostra storia, un venticinque aprile alla rovescia: dalla liberazione alla mummificazione.
Ora quel filo di sinistra che c’è in Parlamento deve a guardare a tutta la sinistra che c’è nel paese. Ora si può fare un partito che sia ispirato a una democrazia profonda. Attento all’Europa, ma ma più ancora ai territori. Innervato dalla dimensione locale e non dai giochi di palazzo.
L’elezione di Napolitano azzera di fatto il Partito Democratico e finisce un lungo equivoco. La sinistra si organizzi in un partito che non abbia nessuna compiacenza per il berlusconismo e nemmeno per gli estremisti della moderazione che allignano al centro.
L’Italia ha bisogno di un vero conflitto democratico, non di agonizzanti che si prestano soccorso.
Abbiamo una figura come Fabrizio Barca che può essere un ottimo punto di coagulo. Non abbiamo bisogno di un leader che parli per slogan e non abbiamo bisogno neppure del comunismo all’antica. Una sinistra radicalmente ecologista, una sinistra per niente supina alle suggestioni della grande finanza. Una sinistra che organizza il suo popolo, che unisce scrupolo e utopia, che fa politica e cultura, che amministra e crea senso, voglia di futuro.
Non sarà facile, non sarà un lavoro di pochi mesi, ma non si può più restare in attesa di quello che fanno i vecchi dirigenti del Pd.
Se Grillo ha preso un quarto dell’elettorato, non si capisce perché un partito veramente di sinistra non possa prendere la maggioranza dei voti. L’Italia laida e meschina esiste e va affrontata. Senza conflitto, senza sinistra, marciremo in una palude che potrebbe diventare definitiva.