La «regola aurea» in base alla quale gli Stati appartenenti all’Unione europea non devono oltrepassare il 3% nel rapporto deficit/Pil non ha alcun fondamento scientifico. Lo ha già dimostrato nel 1998 Luigi Pasinetti, in un articolo apparso sul Cambridge Journal of Economics.

Lo ha confessato di recente, molto candidamente, Guy Abeille, il funzionario francese che inventò quel parametro ai tempi di Mitterand. La regola contabile che sta impiccando molti paesi dell’eurozona fu stabilita in meno di un’ora e del tutto casualmente, senza alcuna base teorica. Se ne dovrebbe discutere in ogni sede, e invece no, il silenzio regna sovrano.

Il trattato di Maastricht continua a condizionare la politica europea, a tal punto da far saltare sistemi di welfare e mandare in rovina intere economie. Con esisti drammatici come nel caso della Grecia e presto, forse, anche dell’Italia.

«Il re è nudo!». Tutti, però, continuano a parlare di quanto è bello il vestito dell’imperatore.

Nel caso della Grecia gli effetti devastanti delle politiche di austerità sono sotto gli occhi di tutti. I dati raccolti dall’Unicef nel suo rapporto su «a condizione dei bambini in Grecia 2013» parlano chiaro. Nel 2011 il 30% dei bambini greci era a rischio di esclusione sociale. Il rapporto rivela inoltre che l’aumento della delinquenza giovanile e il numero degli autori di reati di età tra i 9 e i 13 anni sono aumentati dal 2010 al 2011 rispettivamente del 53,4% e del 58%. Le condizioni sanitarie dell’infanzia sono altrettanto disastrose.

Si uniscano a questi dati il tasso di disoccupazione giovanile, più che raddoppiato dal 2009 a oggi e attualmente prossimo al 60%.
Un altro elemento viene spesso trascurato.

Il rigore imposto dai rappresentanti della Troika e dalla Germania ai cittadini greci sembra non voler fare i conti con la storia, mal conciliandosi con il mancato risarcimento di un debito politicamente e moralmente ben più pesante: il debito dei danni di guerra e di occupazione causati dalla Germania alla Grecia nel periodo 1941-1944. Si tratterebbe secondo alcune stime di una cifra non indifferente, attorno ai 162 miliardi di euro, che da sola coprirebbe la maggior parte del debito della Grecia con la Troika. Come mai, in questo caso, non si pretende da Berlino lo stesso rigore imposto agli altri membri dell’Ue?

Le domande senza risposta sono tante, ma gli attuali responsabili della politica economica, in Italia come nel resto d’Europa, non sembrano voler dare spiegazione del proprio operato.

Ne abbiamo avuto una conferma il 12 novembre all’università di Roma Tre, in occasione di un convegno per il centenario della nascita di Federico Caffè, tenutosi nella ex-facoltà di economia a lui intitolata.

Il presidente della Bce Mario Draghi e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, entrambi ospiti dell’Ateneo e allievi di Federico Caffè, non hanno risposto alla principale fra le domande: cosa c’entrano le attuali politiche dell’eurozona con la lezione di Caffè, sostenitore della cooperazione internazionale e della giustizia sociale?

E perché gli allievi di un autentico riformista come Caffè non fanno sentire forte e chiara la propria voce contro le ingiustizie che discendono dall’attuale ordinamento europeo?

Di certo non ci saremmo mai aspettati che un banchiere come Visco, per di più allievo di Caffè, affermasse che per la programmazione dell’economia a fini sociali e per la piena occupazione «non ci sono i quattrini».