Peter Brook è uno dei massimi maestri del teatro di oggi. Dopo aver mostrato come Shakespeare ci può parlare, ha poi spogliato palcoscenici e recitazione di ogni orpello e fardello, emozionandoci con la poesia (e forse anche la filosofia) del racconto attraverso i suoi straordinari attori, capaci di ogni prodezza. Oggi ha lasciato a Parigi le sue storiche Bouffes du Nord, e con questa ultima produzione, continua a indicarci il senso del teatro, e anche quello della vita. Invitato da Romaeuropa è arrivato (al Vittoria ancora stasera) The Prisoner, la sua ultima fatica che ci indica in maniera sempre più essenziale lo sguardo alla vita di chi l’ha a lungo e intensamente vissuta. Scritto assieme a Marie Helene Estienne, l’apologo ci porta in un mondo lontano, nel Sud del pianeta, dove il protagonista del titolo sconta una pena ancor più terribile della reclusione. Per decine di anni dovrà contemplare, senza mezzi di sussistenza nel deserto, l’esterno della prigione. Ha compiuto i peggiori crimini, incesto e parricidio, e la sua condanna consisterà, pesantissima, nel pensiero, peggiore delle punizioni corporali subite. Non mancherà la possibilità del lieto fine, che lui stesso rifiuterà. Lezione di teatro assoluto, capace di incantare i giovani che Brook non hanno mai conosciuto.