L’episodio, troppo facilmente dimenticato, della censura (poi parzialmente e maldestramente rettificata) del corso di Paolo Nori dedicato a Dostoevskij, da parte dell’università’ Bicocca, è qualcosa su cui non si è sviluppata una adeguata riflessione, ma che, invece, parla chiaro della miseria culturale in cui è precipitata l’università e l’intero paese, e, non ultimo, anche della guerra in corso.

È proprio Dostoevskij che ci insegna come bene e male convivono drammaticamente in ogni animo umano: Raskòl’nikov (Il protagonista di Delitto e Castigo) uccide la vecchia usuraia e la mite e innocente sorella di questa (trovatasi per caso sulla scena del delitto), per poi riconoscere ed espiare le conseguenze del suo gesto dissennato. È una lezione che avremmo dovuto imparare sin dai primi anni della scuola.

La versione mainstream ci dice che l’autore di Delitto e Castigo è solo uno dei tanti scrittori che ha la sfortuna di essere nato in Russia; questi inutili dettagli li abbiamo dovuti apprendere con la insensata decisione dell’università “Bicocca”, uno dei centri di eccellenza che beneficerà dei prossimi finanziamenti del Pnrr destinati all’università (quelle eccellenti, appunto).

D’ora in avanti, prima di leggere le maggiori opere della letteratura mondiale, bisognerà chiedersi in quale paese sono nati i loro autori e se hanno o no il diritto ad essere letti e citati. Raskòl’nikov ritiene di essere un “superuomo” e, dunque, che avrebbe potuto commettere in modo giustificato un’azione spregevole – l’uccisione della vecchia usuraia – se ciò avesse portato un bene collettivo più grande per gli uomini.

Forse è quello che ha pensato Putin, anche lui presunto Superuomo, con l’invasione dell’Ucraina e probabilmente è quello che pensa Biden: togliere di mezzo il Male giustifica qualsiasi mezzo usato. Ma il Male non è mai identificabile con qualcuno o qualcosa in modo assoluto, così come la Pace non è una conquista per sempre. Bisogna inventarla ogni giorno con il linguaggio, con le parole e tentare di farla prevalere. Fare la pace non significa semplicemente sedersi attorno a un tavolo, sia pure con tutte le buone intenzioni; significa fermare l’ingiustizia nel mondo, l’iniqua distribuzione delle risorse, combattere la fame, significa anche cercarla in noi stessi, così abituati, sin da piccoli, noi maschi specialmente, al terribile gioco della guerra.

Nella guerra in corso (scatenata dalla Russia, certamente) aleggia questa visione riduttiva e semplicistica del Bene contro le forze del Male come fosse la scena di quella famosa serie di fantascienza: Star Wars, dove queste due forze si fronteggiano fino alla fine. È ancora Dostoevskij, nella «Leggenda del Grande Inquisitore» (ne I Fratelli Karamazov) a raccontarci come quest’ultimo, di fronte a un Cristo silenzioso, afferma che la maggioranza delle persone ha scelto di seguire lui che ha la capacità di parlare a tutti, mentre nessuno segue Cristo.

Il grande inquisitore si presenta, dice Zagrebelski, – come liberatore degli uomini dal peso della libertà: “La ragion del volgo». La libertà è la maledizion” che il Cristo è venuto a portare agli uomini. Quella libertà, sostiene l’Inquisitore, crea solo incertezza, angoscia e smarrimento nell’uomo. Alla stragrande maggioranza delle persone non si addice la vertigine della libertà, ma la servitù dello spirito. La conclusione del racconto però è spiazzante: Cristo, condannato al rogo, prima di morire bacia il grande inquisitore.

Cristo – è una delle possibili interpretazioni che rendono il dialogo che si svolge nella “Leggenda”, un enigma – promuove la vita, il bene supremo, mentre il Grande Inquisitore elogia “l’umiltà” del male. Questa “umiltà” (L’umiltà del male è il titolo di un libro di Franco Cassano), è quella che si è diffusa con straordinaria vitalità, come un morbo, tra le persone e che oggi ha un nome: la guerra con i suoi lasciti di orrori, come tutte le guerre, le sue false giustificazioni, la sua logica dualistica tra bene/male, buono/cattivo, amico/nemico. Ma i confini tra bene e male sono molto sfumati ed incerti: la cosiddetta “zona grigia” di cui parla Primo Levi nel suo romanzo: “Sommersi e salvati”, dove nelle ultime pagine afferma una terribile profezia: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo dovunque».

Fuor di metafora l’insegnamento della “Leggenda” è che la salvezza (la pace) è una strada stretta, in salita, difficile da percorre, mentre l’inquisitore elogia la strada larga (la manipolazione delle coscienze, la guerra) facile da capire ed accettare poiché basata su una grande semplificazione.

Altro che censura! La “Leggenda” e Dostoevskij che ne è l’autore, dovrebbe essere letta in tutte le scuole per il suo insegnamento, fonte di un’esauribile riflessione, soprattutto oggi. L’università con la sua maldestra censura, ha perso un’altra grande occasione di dimostrare di essere il luogo del pensiero critico non subalterno.