«Come all’inizio del XX secolo il Progresso aveva sempre ragione, anche quando sbagliava, così all’inizio del XXI secolo le lotte socio-ecologiche territoriali hanno sempre ragione, anche laddove alcune loro valutazioni dovessero rivelarsi approssimative».

Questa provocazione viene proposta da Emanuele Leonardi nelle conclusioni del suo libro Natura Lavoro Valore. Andrè Gorz tra Marxismo e decrescita (Ed. Orthotes); una similitudine a mio avviso efficace nel catturare l’essenza e sintetizzare il messaggio di un testo complesso quanto necessario nel momento in cui si voglia cercare una spiegazione profonda e ramificata alla crisi ecologica e scrutare una categoria di conflitti, quelli ambientali, come forieri di nuovi spazi politici e di promettenti forze sociali.

Caratteristica costitutiva di questo libro è pensare costantemente la crisi ecologica attuale in connessione con le trasformazioni del lavoro e lo sviluppo capitalistico. Contrariamente ad alcune percezioni diffuse, che vedono il lavoro contrapporsi all’ambiente in quanto fonte di degrado, Leonardi intensifica la riflessione sul rapporto tra uomo e la natura utilizzando il lavoro come categoria. Ed è alla luce di queste argomentate relazioni che si identifica nel capitale il responsabile della situazione ambientale catastrofica nella quale ci troviamo: nella sua compulsiva ricerca di limiti da oltrepassare , il capitale ha utilizzato anche la natura per creare circuiti di valorizzazione: la natura fornisce le condizioni, assieme al lavoro non-salariato, date le quali i fattori produttivi come il lavoro salariato e appunto il capitale, possono mobilitarsi e creare plusvalore. L’autore chiama questo nesso Lavoro-Natura -Valore «classico», quello in cui le risorse naturali nel momento in cui si esauriscono o si degradano, rappresentano dei vincoli alla crescita economica. Ma le trasformazioni del capitalismo post-fordista hanno fatto emergere un nuovo nesso, in cui la natura è un fattore direttamente produttivo, messa a valore dal lavoro cognitivo e dalla finanziarizzazione.

In estrema sintesi, si potrebbe dire che all’origine di tutto c’è il rapporto uomo-natura, che in età moderna è diventato di dominazione dell’uno sull’altra per mezzo delle tecnologie: di questo si è alimentato il progresso, finché ciò che si è pensato come un serbatoio inesauribile, la natura, si è ribellata. Ma le capacità di riconfigurazione del capitalismo hanno fatto sì che anche dai vincoli imposti dall’ambiente si potesse continuare a trarre profitto.

Da questo punto di vista, vengono criticati due prodotti della società della crescita infinita che, alla ricerca di nuovi cicli di valorizzazione, ha imparato a fare della natura non più un suo limite ma un’opportunità : la «green economy» e il «carbon trading». La prima fa diventare la natura un elemento diretto di valorizzazione, capitalizzandola. I secondi, oltre a essere inutili quando non dannosi per l’ambiente, sono funzionali alla finanza, che ne fa oggetto di rendita.

L’autore segue il metodo indicato da Andrè Gorz: partire dall’analisi dell’accumulazione per arrivare alla crisi ambientale. Le teorie del militante marxista, uno dei fondatori dell’ecologia politica, sono gli strumenti privilegiati per analizzare la questione, che porta anche a riscoprire l’importanza del movimento operaio nel sollevare le questioni ambientali e per individuare le convergenze fra alcuni marxismi e alcune decrescite, nesso inaspettato che potrebbe costituire la lotta di classe del XXI secolo.

Una lotta la cui avanguardia è rappresentata dagli attuali conflitti socio-ecologici. Mobilitazioni trasversali, inclusive, multiscalari: non liberi da contraddizioni ed errori ma che racchiudono una necessaria critica al progresso di tipo capitalistico e alla logica di estrazione ed accumulazione che lo accompagna.