Buongiorno, sono una frequentatrice di festival letterari, di concerti di musica classica e di opera lirica, e vi scrivo perché mi sembra che mentre la mancanza dei primi goda di molta attenzione, non altrettanto a fuoco sia il fatto che la sospensione della musica dal vivo è semplicemente esiziale. Le performance letterarie, molto seguite, si fondano su aspirazioni feticiste e sulla illusione di poter meglio afferrare l’idioletto di un autore ascoltandone la viva voce, osservandone le fattezze e la gestualità, approssimandosi fisicamente alla sua persona, con corollario di autografo vergato sulla copia del libro, sia esso oggetto d’amore o mai letto.

A questo pathos del contatto, gli scrittori solitamente rispondono esibendosi in una performance di routine, che bada a calibrare la giusta dose di narrazione promozionale del loro libro con l’assecondamento delle curiosità tutte extratestuali del pubblico, assai più interessato a sapere cosa lo scrittore di turno pensi della contingenza politica in cui si trova che non a penetrarne le strategie della scrittura.

Se le domande degli astanti illustrano bene la natura degli interessi in campo, le annoiate risposte, spesso emesse a denti stretti, più per non guastare l’impressione finale che per lasciar trapelare distillati reconditi del proprio lavoro, evidenziano quale considerazione del proprio pubblico abbiano, se non tutti gli scrittori, almeno buona parte di loro. E hanno ragione.

Gli scrittori non dovrebbero allontanarsi troppo dalla copertina dei loro libri, per apprezzare i quali non c’è altro stratagemma che leggerli. La musica, invece, per antonomasia non significante, penetrata, sì, nella scrittura, dalle emozioni e persino dalle intenzioni a volte dedicatarie del compositore, ma non perciò alla ricerca di seduttività estranee alle proprie strategie formali, ha bisogno del suo pubblico. L’atmosfera che si genera nell’ascolto dal vivo di una esecuzione musicale è qualcosa di contingente e irripetibile: disturbata dalle proiezioni emotive di chi ascolta più di quanto non lo sia (e lo è) la lettura di un libro, la musica si nutre tuttavia della interpretazione dal vivo quanto un’opera letteraria della immersione in solitudine.

Non è sempre stato così, ovvio; ma gli attuali festival letterari non rispondono precisamente alle esigenze che muovevano la trasmissione orale dei testi. Anche la musica soffre, nei Festival che le vengono dedicati, la subordinazione a filoni tematici, che mortificano la sua naturale inclinazione verso il nonsenso, diseducando l’ascolto. E da performance stanche e sciattamente consegnate alla routine non sono immuni le sale da concerto, né i teatri lirici; ma sebbene a volte preferisca assistere alle prove che allo spettacolo, sebbene vedere lavorare cantanti e musicisti sia spesso più gratificante, nella esecuzione dal vivo quasi sempre suoni e voci mi stupiscono non meno di quanto sorprendano gli stessi interpreti, perché un corto circuito virtuoso ha sprigionato limpidezze, trasparenze, sensualità sonore mai ascoltate prima, grazie a un emozionale reciproco contatto con l’atmosfera di quella sala, di quel pubblico, in quell’irriproducibile momento: senza evocare questioni di unicità, e senza scomodare l’aura, più pragmaticamente la sospensione di ogni esibizione dal vivo mi fa sentire quanto la musica ne soffra e i libri se ne avvantaggino.

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Recapitata alla redazione del manifesto il 5/5/20