«Un libro non sarà portato fuori perché così giurammo»: il regolamento della biblioteca dedicata agli Ateniesi, ad Atena Poliàs e a Traiano, da Tito Flavio Pantainos nel 100 d.C., è una delle epigrafi esposte alla mostra appena inauguratasi al Colosseo La biblioteca infinita. I luoghi del sapere nel mondo antico, promossa dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma e dalla sovrintendenza capitolina ai beni culturali (fino al 5 ottobre).

Il titolo di quest’originale esposizione richiama, per volere dei curatori Rossella Rea e Roberto Meneghini, la «scenografia» di un racconto di Jorge Luis Borges (La Bibliothèque de Babel, 1941), nel quale un numero infinito di gallerie esagonali – contenenti tutti i libri «possibili» – sono metafora dell’universo. Ed è proprio l’universalità della cultura il filo conduttore di questa narrazione che, partendo dai modi e dagli strumenti di scrittura nel mondo antico, accompagna il visitatore negli ambulacri del Colosseo – rivestiti per l’occasione da armaria –, in un viaggio a ritroso tra le biblioteche dei Greci e dei Romani. Così, partendo dalle celebri biblioteche ellenistiche di Alessandria d’Egitto e Pergamo – veri e propri centri di cultura e trasmissione del sapere – si passa agli spazi dedicati allo studio e alla lettura nel mondo romano. Dall’Atrium Libertatis, la prima biblioteca pubblica di Roma alla biblioteca Palatina Ad Apollinis. Dalla biblioteca ubicata nel portico d’Ottavia a quella Ulpia, integrata al foro di Traiano. Per arrivare, infine, alle biblioteche delle province d’Asia Minore (Efeso) e d’Africa (Timgad).

Fulcro della mostra sono tuttavia le scoperte effettuate negli Auditoria di Adriano – messi in luce nel 2008 a piazza Madonna di Loreto, in occasione degli scavi preventivi alla costruzione della linea C della Metropolitana – e nel Templum Pacis. Quest’ultimo monumento fu eretto da Vespasiano nel 75 d.C. al termine delle sanguinose guerre civili e della repressione della rivolta giudaica, e fu la sua connotazione sacra a determinare lo sviluppo – al suo interno – della Bibliotheca Pacis. Distrutto da un incendio nel 192 d.C., il complesso fu poi ricostruito dall’imperatore Settimio Severo, di cui è esposta per la prima volta una preziosa statuetta in avorio. Immancabile il cenno alle biblioteche private: dalla Villa dei Papiri di Ercolano provengono i busti della poetessa Saffo e di alcuni filosofi, mentre a evocare il «romanticismo» della scrittura sono alcuni affreschi di fanciulle da Pompei. Dalla via Appia arriva invece la Tabula Iliaca, che illustra scene tratte da poemi epici greci. Tra le opere inedite più interessanti si distinguono tre pannelli dipinti dal teatro di Nemi, recentemente restaurati.

Le pitture – databili probabilmente alla prima età imperiale – raffigurano, sullo sfondo di drappi e basse colonne, una sequenza di armi e calzari intervallati da rotoli iscritti e tavolette, i cui enigmatici testi sono ancora in corso di studio. Il loro rinvenimento in un ambiente identificabile con uno spogliatoio, ha spinto a ipotizzare una connessione tra le pitture e gli spettacoli teatrali. Alla fine del percorso, restano due rammarichi: il primo riguarda l’allestimento.

In una rassegna che ha come tema centrale il libro è un paradosso che le didascalie siano poste nel piedistallo delle vetrine, obbligando il visitatore a esercizi più consoni a un gymnasium che a una biblioteca. Il secondo riguarda il mancato cenno alla Bibliotheca Alexandrina, aperta nel 2002 con l’intento di celebrare quella antica – distrutta da un incendio – e di promuovere il dialogo tra Mediterraneo orientale e occidentale. I grafemi in tutte le lingue del mondo che decorano i muri perimetrali della biblioteca, ricordano, infatti, la Babele di Borges. La posizione dell’edificio sull’orizzonte marino di Alessandria D’Egitto crea, inoltre, un ponte immaginario tra passato e presente, attraverso il quale idee e pensieri vorrebbero continuare a viaggiare.