Qualche anno fa l’autore di fumetti Gian Alfonso Pacinotti, Gipi, era in crisi creativa e aveva puntato sul grande schermo con il film L’ultimo terrestre, prodotto da Procacci per Fandango. Non indimenticabile. Ora ci riprova con diversa consapevolezza, senza crisi e con convinzione. Il risultato è Il ragazzo più felice del mondo, un racconto pervaso da grande ironia sulla costruzione di un mockumentary che ricostruisce una vicenda singolare.
E subito Gipi decide, in qualche modo di risarcire Procacci (che ha coprodotto anche questo) mettendolo direttamente in scena.

L’IDEA è spassosa : Gipi va in ufficio dal produttore e, per svecchiare dal provincialismo il cinema italiano, gli propone La vita di Adelo, un quasi remake di La vita di Adele, coniugata però al maschile con sesso esplicito tra gay raccontato e mimato da Gipi al sempre più stranito Procacci. Bocciato il progetto ecco allora affiorare la storia su cui si basa la vicenda. Venti anni fa, quando era ancora un fumettista sconosciuto, collaboratore di un giornalino porno, anche se lui faceva altre storie, Gipi riceve una lettera da Francesco, un sedicente quindicenne che si dichiara suo grande fan e gli chiede una tavola allegando cartoncino, busta e francobollo per l’invio, se dovesse riceverla sarebbe «Il ragazzo più felice del mondo».

Naturalmente lo scapestrato Gipi non risponde, ma conserva la lettera e un flebile senso di colpa. Poi però viene a sapere che un suo collega ha da poco ricevuto una lettera analoga. In breve scopre che decine di fumettisti italiani hanno ricevuto in questi anni lettere, tutte sostanzialmente uguali del perenne adolescente Francesco. E allora decide di farci un documentario per portare finalmente tutti i suoi colleghi all’indirizzo fornito e soddisfare l’improbabile richiesta.
La troupe è sgangherata, con effetti esilaranti, Gipi investe di suo per il progetto produttivo delirante quanto le lettere e costruisce un mosaico di situazioni a tratti spassosissime pur con qualche sfilacciamento qua e là.

Il fonico pasticcione filosofo, l’avvocato, le liberatorie, gli amici ritrovati dopo anni, non senza sorprese, tutto concorre a un racconto per immagini davvero singolare e proprio per questo capace di iniettare nuova imprevedibile linfa nel corpo un tantino spossato del cinema italiano.
GIPI e i suoi magnifici complici (Davide Barbafiera, Gero Arnone, Francesco Daniele) confezionano una commedia totalmente estranea al déjà vu del nostro cinema, spiazzano di continuo lo spettatore che non sa più cosa aspettarsi da questa banda di sbandati che si aggira per il paese con l’intenzione di girare un film. E alla fine non solo ce lo regalano, ma ci permettono di trovare una parentesi di buonumore che forse solo chi è lontano dall’abituale macchina produttiva poteva realizzare. La sua è una storia sul senso del raccontare storie, sull’invadenza dei social, sulla privacy e un non comune senso del pudore.