I veri destinatari della lettera di Mattarella sul decreto sicurezza sono i giudici, non il Governo o il Parlamento, cui pure è formalmente indirizzata. Nessuno, infatti, può credere che l’attuale esecutivo in crisi ovvero le Camere alla vigilia di un assai probabile loro scioglimento possano adeguatamente rispondere ai puntuali rilievi del Capo dello Stato.

Da questa prevedibile sordità dei soggetti istituzionalmente preposti a recepire i rilievi del Presidente della Repubblica qualcuno ha dedotto l’inutilità della «promulgazione con riserva», ritenendo magari che il dissenso dovesse portare al rifiuto di firma e al rinvio della legge alle Camere, così come previsto dall’articolo 74 Costituzione.

Apparentemente più rigorosa, questa via sarebbe stata assai più rischiosa e controproducente. Rischiosa perché avrebbe potuto aprire un conflitto istituzionale ad alto tasso di politicità in una fase particolare della vita del Paese: alla viglia di una crisi di governo ove il ruolo del capo dello Stato diventa centrale e la sua «indipendenza» di giudizio non può essere messa in discussione da nessuno dei suoi prossimi interlocutori, tra cui, ovviamente, rientrano i fautori del decreto sicurezza.

MA IL RINVIO DELLA LEGGE alle Camere si sarebbe potuto rivelare anche dannoso permettendo a quest’ultime di riapprovare il testo. Ipotesi tanto più probabile quanto più si avvicinano le elezioni, e le consequenziali esuberanze propagandistiche che rendono ancor più incontrollabile le pulsioni sicuritarie dell’attuale (ex) maggioranza. Una riapprovazione della legge – ricordo – avrebbe comportato l’obbligo di promulgazione da parte del Capo dello Stato, senza possibilità di ulteriori riserve, e con un grave smacco della sua autorevolezza.

Volendo ottenere qualche risultato concreto nel breve periodo e proponendosi di attenuare la portata più odiosa e incostituzionale della normativa approvata dal Parlamento la via della lettera di dissenso trova una sua logica. Ci si intenda: non spetta al Capo dello Stato fare le leggi e, dunque, i suoi rilievi operano – come è puntualizzato nella lettera – «al di là delle valutazioni di merito delle norme».

IL PERFIDO IMPIANTO che contrassegna le politiche migratorie, la cultura poliziesca che caratterizza le disposizioni in materia di libertà di manifestare non sono messi in discussione. Solo un’opposizione politica agguerrita e consapevole del proprio ruolo nella fase attuale potrebbe farlo, sviluppando un più acceso scontro culturale e sociale nel Paese.

Il Presidente della Repubblica è garante esclusivamente della superiore legalità costituzionale, che è necessario garantire sempre, nei confronti di qualsiasi maggioranza politica e il cui rispetto deve essere assicurato da tutti e in ogni caso.

I circoscritti rilievi di Mattarella si concentrano su questi aspetti, rilevando la sproporzione (prosaicamente potrebbe tradursi: la follia vendicativa) delle sanzioni amministrative se confrontate con i comportamenti di chi opera i salvataggi in mare. Ma vi è un ulteriore rilievo che va a rafforzare il carattere irragionevole – dunque incostituzionale – di una misura introdotta al fine di ostacolare le navi delle ong: le norme internazionali cui il nostro Paese ha obbligo di conformarsi impongono il salvataggio di chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo (Convenzione di Montego Bay). La conclusione, da un punto di vista giuridico, non può essere che una sola.

Quando si dovranno applicare le norme si dovranno valutare i comportamenti e valutare gli obblighi internazionali imposti al nostro Paese. Se ci si attenesse ai criteri autorevolmente enunciati dal capo dello Stato, non potendosi applicare quelle sanzioni sproporzionate e irragionevoli introdotte nel nostro ordinamento, ben pochi divieti di ingresso, transito e sosta di navi nel mare territoriale disposti dal ministro dell’interno, come pure ben poche sanzioni amministrative e i sequestri cautelari predisposti dai prefetti reggerebbero al confronto in un’aula di giustizia.

I CASI CAROLA RACKETE si moltiplicherebbero, e la normativa antimigratoria troverebbe nelle aule dei tribunali quell’argine che la politica non ha saputo fornire. Anche il secondo rilievo presidenziale potrebbe avere rilevanti conseguenze sul piano processuale. La furia autoritaria, nonché la volontà di limitare la libertà di manifestare contenuta nelle norme ha travolto ogni distinzione nel caso di resistenza, violenza o minaccia nei confronti dei pubblici ufficiali.

«TALE SCELTA LEGISLATIVA – scrive a chiare lettere il Presidente – impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere», rendendo irragionevole la norma ora introdotta. Un chiaro invito ai giudici a sollevare la questione dinanzi alla Corte costituzionale per far dichiarare l’incostituzionalità delle norme sottoposte a così stringenti critiche giuridico-formali.

Nel nostro Paese vige la divisione dei poteri (qualcuno se ne scorda, noi no), pertanto saranno i giudici, nella loro autonomia, ad interpretare le leggi, nonché a valutare le opinioni autorevolmente espresse dal capo dello Stato in proposito.

Non è dunque detto che finisca come indicato, ma almeno possiamo sperarlo. Gli argomenti utilizzati nella lettera presidenziale mi sembra possano favorire quest’esito. Alcuni precedenti – si pensi alla fine fatta fare al divieto d’iscrizione all’anagrafe per gli stranieri, ovvero alla recentissima sentenza n. 195 del 2019 della Consulta – sono indicativi.

Prima di terminare non voglio però nascondere qual è la maggiore debolezza di quanto sin qui argomentato dal punto di vista giuridico e costituzionale. Credo che nessuna azione dei garanti (capo dello Stato, giudici, Corte costituzionale) possa supplire all’assenza della politica. In questa fase di afasia delle opposizioni, di confusione e caos del pensiero critico, di soggezione della società alle egemonie di una destra aggressiva e pericolosa dobbiamo confidare sulle garanzie prestate dallo stato costituzionale di diritto, ma fino a quando?