Secondo le informazioni a cui ha avuto accesso il quotidiano El País, Mariano Rajoy, il presidente ad interim da più di sei mesi, avrebbe scritto una lettera al presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker in cui si sarebbe impegnato «se necessario» ad «adottare nuove misure per raggiungere gli obiettivi». Cioè altri tagli, altre tasse. Quelli che la Spagna si sarebbe messa ormai alle spalle, come il Partido popular, in campagna elettorale, garantisce urbi et orbi un giorno sì e l’altro pure. Tanto che i maggiorenti popolari non fanno altro che promettere nuove riduzioni di imposte visto che ormai il paese sarebbe uscito dalla crisi e le sorti magnifiche e progressive sarebbero dietro l’angolo. Sempre che, chiaro, non arrivino al potere i terribili «comunisti» di Unidos Podemos, la coalizione di Podemos e Izquierda Unida che secondo tutti i sondaggi supera già di vari punti i socialisti.

La lettera, datata 5 maggio, avrebbe funzionato, dato che mercoledì la Commissione ha sospeso le sanzioni per la Spagna benché abbia anche chiarito che ci vogliono almeno 8 miliardi di tagli perché il bilancio 2016, approvato dal Pp in solitario con largo anticipo prima della campagna elettorale di dicembre, farebbe buchi da tutte le parti. Nel 2015 la Spagna ha chiuso l’anno con più del 5% di deficit. In Europa solo la Grecia ha fatto peggio. E a questo si aggiunge la notizia che il rapporto fra debito pubblico e Pil ha ormai raggiunto la simbolica cifra del 100%. In Italia ci siamo abituati da più di 30 anni, ma in Spagna fino al 2008 era al 40%.

Sostenere che questo governo abbia eroicamente rimesso a posto le “disastrate finanze” lasciategli in eredità diventa sempre più complicato.
Se la notizia che il nuovo governo avrebbe avuto la gatta da pelare del ritocco di bilancio era nota già prima delle elezioni di dicembre, il fatto che Rajoy negli stessi giorni dicesse una cosa e il suo contrario a seconda dell’interlocutore è caduta «come acqua di maggio», come si dice in spagnolo, per ravvivare la campagna elettorale. I leader degli altri tre principali partiti sono immediatamente saltati addosso alla giugulare del consunto leader popolare.

Oltretutto nella lettera a Junker, Rajoy rende esplicito un messaggio che il suo ministro delle finanze Montoro si era già incaricato di far arrivare agli spagnoli: la colpa degli sprechi è tutta delle comunità autonome. Le stesse che il governo ha messo costantemente contro il muro con obiettivi di deficit inarrivabili, soprattutto considerando che, proprio come in Italia, le comunità autonome gestiscono la maggior parte delle spese sociali.

La musica è cambiata da un anno a questa parte, quando i nuovi governi – persino alcuni del Pp – hanno risposto in questi mesi a muso duro al governo dicendo al ministro, come ha fatto la combattiva vicepresidente valenciana Oltra, che le sue richieste sono «impossibili» da rispettare «a meno che il governo non voglia buttare fuori dalle classi i bambini e mettere per strada i malati degli ospedali».

Ieri un giudice ha chiesto al Pp di depositare entro dieci giorni, pena il sequestro della sede popolare, una cauzione di un milione e 200mila euro per la causa sui fondi neri del partito. Se neppure questo caso di corruzione ha avuto l’effetto di smuovere l’impassibile Rajoy, certamente non lo farà la rivelazione del contenuto di una lettera. Con la certezza granitica dei leader popolari che le prossime elezioni li incoroneranno nuovamente primo partito, come dicono tutte le inchieste. Sempre più indeboliti, è vero. Ma i 7 milioni di spagnoli che continuano a votarli sembrano totalmente insensibili ai fatti di cronaca. Tanto che, senza arrossire, il ministro economico Luís de Guindos ieri ha potuto sostenere tranquillamente a Bruxelles che «non sarà necessaria una diminuzione delle spese o un aumento delle imposte», fermo restando che l’economia cresca sopra il 3%. Una stima irrealistica, smentita dalla stessa Commissione.