La Leopolda è strapiena. Ma quanto può valere questo dato, al di là della riuscita della kermesse? Per la nona volta Matteo Renzi è sul palco a intervistare, polemizzare, affabulare, e condurre la narrazione con piglio da showman. Ma dall’assalto al cielo del partito prima, e del governo poi, la narrazione è passata oggi ad elencare le malefatte di un “governo di incapaci, che mette in pericolo il paese”. C’è la denuncia, manca però l’orizzonte ideale di una alternativa che convinca i milioni di italiani e italiane che nelle urne hanno abbandonato il Pd. E che non saranno certo riconquistati dalla “contromanovra”, che molto darebbe alle imprese e molto meno ai singoli. Per giunta, e al solito, nel segno del capitalismo compassionevole.
Renzi prova comunque a rilanciare, a disegnare un progetto: “Vogliamo valorizzare chi sta governando bene in Italia – esordisce al mattino – perché c’è gente che governa bene, ma non è il governo. Sono i nostri sindaci, non i nostri ministri”. E però, mentre i primi cittadini salgono sul palco, da Gori a Nardella fino alla vicesindaca milanese Anna Scavuzzo, le due domande più gettonate dai cronisti sono quelle relative all’ipotesi che, per debolezza, Renzi voglia far rinviare il congresso. O che, in alternativa, cerchi di farsi un partito personale, cercando proseliti con i neonati “comitati civici”.
Per far capire il cambio di registro, alla Leopolda ci sono anche le Iene, che mettono la lingua dove il dente duole: “Allora vi state facendo il congressino?”. Nega Ivan Scalfarotto, cui sono stati affidati i “comitati civici”: No, i comitati serviranno a reagire a un governo che mette in dubbio le regole condivise”. Nega Valeria Fedeli: “Nessun nuovo partito, ma solo l’esigenza di aprirsi”. E nega Maria Elena Boschi: “Qui si parla di futuro dell’Italia, non è né una corrente né un congressino. Come Pd avremo la conferenza programmatica a Milano, e ci sarà un congresso che il segretario Martina dovrà dirci quando sarà”.
Già, il congresso. Arriva Marco Minniti, che i sindaci Pd che sono qui vorrebbero in corsa per il Nazareno. L’ex ministro taglia corto: “Sono qui per ascoltare, non per parlare”. Si candiderà? “Al momento no”. Del resto Minniti ha già detto che scioglierà la riserva solo dopo la conferenza di fine ottobre a Milano. Non qui, dove di bandiere del Pd non c’è ombra.
Il congresso si farà, dice la renziana Simona Bonafè: “Qui oggi nessuno chiede di rinviare il congresso, io sono appena stata eletta segretario della Toscana dopo primarie che hanno portato 46mila persone a votare, e che dimostrano come il Pd sia vivo”. Il congresso è in forse, teme il digiunante pro-congresso Roberto Giachetti: “Mi pare che nessuno muoia dalla voglia di farlo, nemmeno Zingaretti. Ma al partito così manca una guida chiara, e i risultati si vedono”. Peraltro, per Giachetti, “il problema non è Renzi e la contromanovra. Ma è evidente che ci sono pezzi di partito che si muovono per conto proprio”.
Il problema non sarà Renzi. Ma certo, intervistato dal Tg3 nel retropalco, lui non scioglie i dubbi: “I comitati civici di resistenza sono oltre il partito democratico. Sono italiani e italiane che non hanno, né vogliono, la tessera Pd, ma ne hanno abbastanza di questo governo. A loro offriamo la possibilità di avere un posto per dire ‘no’, e per affermare un’Italia diversa”.
Il posto è la Leopolda, che “ritorna al futuro con le proposte sulla nostra idea di paese”. Ma che ospita ancora il discusso finanziere Davide Serra per parlare di spread e di quanto costa il governo agli italiani, e si rivolge ad una platea anziana, dove i giovani spiccano perché in minoranza. Una platea con un look ricercato, anche casual ma sempre elegante. Aderente ai flussi elettorali che hanno visto il Pd conquistare un po’ di voti “borghesi” ma perdere un’infinità di voti popolari, dopo vent’anni dal saggio “Le due destre” di Marco Revelli. E quando Renzi, dopo Roberto Cingolani e Federica Angeli, Roberto Burioni e Rula Jebrael, intervista Paolo Bonolis, quest’ultimo citando Guy Debord coglie nel segno: “I figli assomigliano più ai loro tempi che ai loro padri”. I figli della crisi non assomigliano né a Renzi, né al Pd.