L’atletica è stata sempre appendice del potere politico dagli antichi greci al principio romano del panem et circenses, fino ai capri espiatori come i neri, gli ebrei, gli omosessuali e nel Medioevo le prostitute. In occasione dei mondiali indoor di atletica leggera, che si svolgeranno dal 1 al 4 marzo a Birmingham, in Inghilterra, parliamo con Sergio Giuntini del suo libro Storia agonistica, sociale e politica dell’atletica leggera italiana (Aracne, euro 18).

L’atletica leggera ha avuto un significato politico dall’antica Grecia alla Roma del panem et circenses. Oggi è così?

Le Olimpiadi classiche sono state la culla dell’atletismo e numerose gare del programma atletico contemporaneo trovano lì le proprie origini, nello stesso tempo costituivano il perimetro politico delle città-stato greche. Un pilastro culturale, che rispecchiava i valori dominanti, chi non ne faceva parte era un “barbaro” era escluso. Le Olimpiadi costituivano un elemento fondante della civiltà e dell’imperialismo ellenici. L’atletica spettacolo inventata da Primo Nebiolo negli anni ’70 del Novecento qualche aspetto affine, di dubbia spettacolarità, lo denotava, teorizzava il record come pensiero unico, diventato il credo ancora oggi in voga, tanto che con il ritiro di Bolt anche la Iaaf trema, temendo una massiccia perdita economica  e una fuga da parte degli sponsor e delle televisioni. All’atletica spettacolo basata sul record  va attribuita la crescita esplosiva nell’uso di sostanze dopanti a Est col doping di stato come a Ovest, e l’Italia, come ben sappiamo, ha fatto la sua parte.

Nel Medioevo facevano gareggiare le prostitute sotto le mura nemiche.

Il Medioevo è stato in Italia il periodo storico più ricco di pali podistici, talvolta assumevano la funzione di “riti sacrificali” assegnando a talune categorie il ruolo di capri espiatori: ebrei, schiavi neri, prostitute. Queste ultime gareggiavano, tra insulti e lazzi sessisti, nel Palio di Verona (1339) e di Brescia (1427). Castruccio Castracani le fece correre per dileggio sotto i bastioni di Firenze, mentre assediava la città, un’umiliazione ricambiata dai fiorentini, che alla sua morte organizzarono un simile cimento podistico sotto le mura di Lucca.  

Perché Dorando Pietri resta ancora un mito?

E’ il primo eroe sportivo, ancor prima dei titani del Giro d’Italia, ad entrare nell’ immaginario collettivo, perdendo vince. E’ il classico vincitore morale, che improvvisamente si conquista un incredibile frammento di popolarità, la sua maratona di Londra contiene tutti questi ingredienti. Il suo mito sconfinerà in politica, a Carpi, la sua città, se lo contenderanno cattolici e socialisti, i primi additandolo ad esempio di valori positivi e tradizionali, che andavano al di là della vittoria, i secondi facendone un simbolo del lavoro, la corsa, che emancipa e libera l’uomo.       

L’atletica leggera allenò alla Grande Guerra?

La rotta di Caporetto per i comandi dell’esercito costituì un elemento di riflessione anche sotto il profilo sportivo. Tra le cause di quella disfatta venne chiamato in causa anche l’addestramento fisico del soldato. La ginnastica, ripetitiva e meccanica, con cui allora si istruivano i nostri fanti, fu considerata superata. Da qui l’adozione, sul modello degli alleati dell’Intesa, di altre forme di preparazione tra le quali un grande successo ebbero le corse campestri. Tra la fine del 1917 e il 1918 in tutti i corpi d’armata si tennero numerosi cross-country con i quali conferire un maggior dinamismo-arditismo al soldato italiano.

Sotto il fascismo il ras Arpinati “asservì” l’atletica leggera al calcio. Perché?

Leandro Arpinati, tra il 1927 e il 1933, presiedeva contemporaneamente le federazioni calcio e atletica leggera. Grazie a tanto potere sportivo, promosse diverse sinergie tra le due e, in specie, ritenne che l’atletica avrebbe potuto migliorare la condizione fisica dei nostri calciatori. In pratica creò un brevetto atletico per i calciatori che dovevano obbligatoriamente superare determinati limiti in prove di corsa, salto e lancio affidando alla Fidal la gestione. Si trattò di un semplice “matrimonio d’interesse”. La Fidal non ne trasse alcun beneficio con il declino politico di Arpinati si chiuse questa curiosa esperienza.      

Alle Olimpiadi del 1960 a Roma c’era il cronista Pier Paolo Pasolini?

Pasolini seguì le Olimpiadi per il settimanale comunista Vie Nuove, in quei suoi articoli olimpici paragonava i 100 m. a un endecasillabo, i 200 a un emistichio, i 400  a un quartino, e mostrava una chiara predilezione per la maratona “corsa disperata e drammatica”. La gara atletica, sosteneva, è una lirica più o meno breve.

Paola Pigni corse contro i pregiudizi. L’atletica era maschilista?

Maschilista come tutti gli altri sport. La Pigni negli anni ’60-‘70 ha contribuito ad abbattere numerosi stereotipi. Nel momento in cui il femminismo s’affacciava sulla scena è risultata un autentico modello di tenacia e impegno applicati allo sport. E’ stata una pioniera, senza complessi e paure, della corsa femminile, detentrice di tutti i record italiani dagli 800 metri alla maratona, e di quelli mondiali sui 1500 e il miglio, quando gareggiare sulle lunghe distanze era ritenuto dannoso, addirittura trasgressivo. Affrontare il fango, il freddo, la pioggia delle corse campestri o disputare i 42,195 m. significava per una donna inoltrarsi in territori inesplorati, voleva dire abbattere falsi muri fisiologici o più semplicemente immaginari. La Pigni fece tutto questo, si sforzò di sconfiggere, correndo, l’insieme di tali arretratezze culturali e sociali.   

L’atletica ha vissuto un periodo d’oro con Mennea, Simeoni, Damilano. Per i mondiali di Birmingham è crisi buia?

L’atletica italiana vive una grave crisi di risultati e d’identità, per risollevarsi deve affrontare di petto alcune problematiche ripetutamente accantonate: l’invadenza dei corpi sportivi militari ai danni dei club civili, la dispersione dell’atletica giovanile e la mancata crescita di molti talenti, i rapporti con la scuola e le società di base.