Un bambino passeggia nei boschi che vegetano attorno a casa, guadando freddi ruscelli, esplorando gli ombrosi cunicoli celati tra i cespugli di rovi, costruendo fragili archi di legno per combattere i mostri fittizi di una realtà quotidiana sublimata dall’immaginazione. È il piccolo Shigeru Miyamoto, futuro inventore di Super Mario, che conservò il ricordo di quelle infantili e sognanti gesta giocose per trasformarlo successivamente in una fantasia che tutti avrebbero potuto condividere: Legend of Zelda, vertice universale dell’epopea fantasy interattiva uscito nel 1986 in Giappone sulla prima console di Nintendo. Fu l’opera che mutò drasticamente il concetto di attività videoludica domestica, da allora non solo più un passatempo ma esperienza emozionale e protratta nel tempo, per la quale fu necessario inventare un rivoluzionario sistema di salvataggio affinché il giocatore potesse riprendere la partita dal punto in cui l’aveva sospesa, il segnalibro virtuale di un volume di fiabe elettronico le cui pagine ci trasformano in protagonisti. Non è un caso che il personaggio principale di questa saga trentennale si chiami sempre Link, in giapponese Rinku, che significa «collegamento», poiché tramite quel verde-vestito ragazzo di pochissimi bit fu sancito un legame tra il giocatore e il mondo virtuale del videogame dalla nuova e potente intensità suggestiva.

Nel corso degli anni sono uscite numerose «leggende» per le piattaforme di Nintendo, ognuna delle quali è sempre stata epocale come portatrice di invenzioni e idee che avrebbero influenzato il modo di immaginare il videogioco come medium e di costruirlo; tuttavia sebbene i mondi siano cangianti e le storie seguano solo raramente la progressione cronologica caratteristica dei seguiti, ci sono sempre una principessa Zelda e un Link attraverso cui possiamo lottare per la salvezza.

In occasione del trentennale dell’opera di Miyamoto, Nintendo pubblica per Wii U la riedizione in alta definizione di uno degli episodi dal tono più oscuro e malinconico della serie, ovvero Legend of Zelda Twilight Princess, che uscì originariamente nel 2006. Il travestimento in HD dell’epopea della Principessa del Crepuscolo risulta efficace per esaltare ogni prezioso dettaglio di un mondo che sta scivolando nell’ombra pervertita da una malvagia barbarie ma che contiene, anche durante il collasso, una tenebrosa bellezza che spetterà a chi gioca riportare alla luce. Link questa volta è il pastore di un piccolo villaggio e la nostra prima attività sarà ricondurre alla stalla un branco di capre pigre che si attardano al pascolo. Il preludio bucolico dura poco perché con una violenza improvvisa e sconvolgente il male interviene sulla pace campestre e uno straniante crepuscolo ricopre le terre prima amene.

Alla non-luce di questo crudele buio dorato Link si trasforma in un lupo grigio dagli occhi blu guidato da Midna, una piccola creatura fatata dolce così come inquietante, che ci introdurrà alla principessa Zelda e favorirà il ritorno del giovane eroe alle sue sembianze di ragazzo. Ma durante tutto il gioco l’alternanza tra forma umana e bestiale sarà inevitabile, tramutando l’esperienza di gioco in una rilettura eroica della licantropia.
La struttura ludica è classica, illusoriamente conservatrice perché in realtà rivoluziona la saga in maniera sottile con la sua qualità metamorfica e gli accenti più epici che favolosi.

Quando uscì alla fine del 2006 Twilight Princess fu disponibile per la Wii, implementando le caratteristiche sperimentali del controller con il sensore di movimento. Il pad con lo schermo sensibile al tocco del Wii U, con cui si gioca la riedizione in HD, offre invece un sistema di controllo tradizionale che risulta tuttavia più efficace e preciso. Si esplora quindi un mondo vasto di selve, monti e pianure fino a raggiungere i micidiali templi labirinto, i sotterranei invasi dalle acque e le polverose segrete la cui architettonica complessità di dedali richiederà la risoluzione di enigmi e il superamento di prove di coraggio contro creature ostili.

Ogni panorama palpita di un fascino cupo condizionato dall’idea di una struggente fine imminente. È percepibile la poesia del commiato del sole al mondo in quel momento definitivo e dal cosmogonico valore simbolico durante il quale l’ultimo raggio dell’astro cede alla prossima notte e sorge il dubbio ancestrale che le tenebre possano essere infinite. Nella storia delle Leggende di Zelda l’unico altro gioco che può essere paragonato per il tono tetro a Twilight Princess è quella lunatica meditazione sul tempo che è Majora’s Mask, ma in quest’ultimo vi sono accenti grotteschi assenti nell’avventura crepuscolare di cui si tratta, diversissima eppure magicamente corrispondente, di John Milius.

Ancora una volta Legend of Zelda ci fa giocare con la musica, trasformando la console in uno strumento musicale quando «suoniamo» gli ululati del Link-lupo, momenti straordinari di una ferinità sonora che diviene la solitaria sinfonia di un figlio della notte che piange l’estinzione del giorno. Così il buio, ce lo insegna Midna, non è il Male, per il quale la tenebra è solo un funzionale manto rubato alla natura, poiché in esso c’è la stessa gentilezza e giustizia del lucore mattutino.

I malefici antagonisti in Twilight Princess abusano dell’ombrosa cortesia del crepuscolo, pervertendone l’oscurità e corrompendola. Dovremo giocare per decine di ore questa lunga avventura per redimere l’oscurità dall’aura di paura che può suscitare all’essere umano e restituirle infine la sua buia dignità e la sonnolenta, misteriosa quiete. Twilight Princess non va considerato un nipponico Inno alla Notte neo-romantico, ma un’elegia metaforica sull’amore indissolubile e ambiguo tra la tenebra della notte e la luce del giorno.