Ho realizzato il film-documentario Le ceneri di Pasolini (nel 1993-4), che sarà proiettato di nuovo e rotondamente discusso alla 52a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro (2–9 luglio 2016) con l’intenzione di criticare la leggenda dell’artista viscerale.

 

Questa leggenda (l’artista pensa con le viscere) fa il paio con la leggenda della donna uterina (la donna pensa con l’utero).

 

È vero, l’artista e la donna sono esseri viventi particolarmente sensibili. Sentono, prima di comprendere e capire. Ma bisogna aggiungere: per fortuna.

 

“L’elemento popolare ‘sente’, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale ‘sa’, ma non sempre comprende e specialmente ‘sente’. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere).” (Gramsci, Quaderni)

 

La leggenda dell’artista viscerale è stata costruita da intellettuali che ‘sanno’, ma non sempre comprendono e ‘sentono’.

 

Pasolini è stato vittima, in vita e in morte, di questa ostinata leggenda, che continua a circolare in tutte le sfere sociali, e persino tra gli artisti – che spesso se ne vantano: come se questa presunta questa presunta visceralità certificasse l’origine divina della loro professione.

 

Naturalmente, i singoli artisti sentono, comprendono, capiscono, in maniere e misure singolarmente diverse. Pasolini, per esempio, sentiva e comprendeva e capiva al sommo grado.

 

Veniamo al ritmo del film-documentario. Come tutti gli autori ho un ritmo compositivo, che informa tutte le mie opere. Le ceneri di Pasolini è un documentario saggistico, che vuole descrivere in maniera filologica, e raccontare in forma autobiografica, Pasolini autore e uomo, e quindi il mio ritmo si deve intrecciare fino a sposarsi col suo ritmo. Se voglio spiegare, dispiegare, la figura, il modo di essere, di fare arte di Pasolini, devo tenere concretamente presente il suo proprio ritmo. “Il ritmo è la compiuta astrazione del contenuto.” (Ejzenštejn)

 

Nel film-documentario Pasolini dice che, sebbene sia ritenuto un essere umano e un artista tendenzialmente triste, egli è invece di natura gaia. Un uomo gaio, cioè sereno, gioioso, vivace, entusiasta, euforico, repentino, allegro.

 

Partendo anche da questo, ho pensato conseguentemente al continuo interesse di Pasolini nei confronti del dionisiaco, dell’arcaico, del primitivo, del selvaggio, dell’ancestrale, del “meraviglioso barbaro” – come lui stesso un giorno lo ha definito.

 

E così, lavorando al documentario, a un certo punto mi sono ricordato di un testo musicale di Béla Bartók che s’intitola ed è Allegro Barbaro. L’ho assunto come motivo conduttore di questo film-documentario, che per ciò è tutto strutturata da questo ritmo, non soltanto quando questa musica torna, ma anche quando manca. Pasolini era un allegro barbaro a tempo pieno, quando scriveva e quando mangiava, quando filmava e quando giocava.

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