Era inevitabile: quella di Nichi Vendola è stata una scelta privata, ma non poteva che essere poi brandita come argomento contundente nel dibattito politico sulle unioni civili, sulle adozioni per le coppie gay e sulla maternità surrogata. L’obiettivo è doppio: bloccare la legge sulle adozioni sbandierata dal Pd dopo il cedimento sulla stepchild al Senato e condizionare le sentenze della magistratura sulle adozioni gay. Tanto più dopo che ieri il tribunale dei minori di Roma ha ammesso per la prima volta in Italia l’adozione incrociata per una coppia di donne entrambe con una figlia. Le due bambine, di 8 e 4 anni avranno lo stesso cognome ma in termini di legge non saranno considerate sorelle.
La prima missione del fronte anti-adozioni, ringalluzzito dalla vittoria a palazzo Madama, è tra le più facili. A varare davvero una legge sulle adozioni in questa legislatura non ci pensa sul serio nessuno, e nel clima che si è creato dopo l’esplosione del caso Vendola il Pd inizia a ritenere prudente rinviare anche il solo parlarne. «Intanto variamo la legge sulle unioni civili con l’approvazione della Camera, poi discutiamo di adozioni», butta lì Nicola Latorre, che ha una certa esperienza e sa come si sta in Parlamento. Vuol dire che anche solo per far partire l’iter ci vorranno un paio di mesi, e comunque che la legge sulle adozioni arrivi al Senato prima delle prossime elezioni politiche è fuori discussione.
Diverso il discorso sulle sentenze, e in realtà il bersaglio grosso è quello. Angelino Alfano non la manda a dire: «La legge uscita dal Senato è chiara e i giudici devono far rispettare la legge», dichiara in un’intervista al Qn. «Siamo al lavoro – afferma in altra sede – per una legge che renda l’utero in affitto reato universale, punibile in Italia anche se compiuto in un altro Paese». E il caso Vendola, arrivato subito dopo la vittoria sulla stepchild, sarà certamente cavalcato.

Ieri le dichiarazioni sulla vicenda hanno letteralmente ingolfato le agenzie di stampa. I toni sono spesso opposti. Prosegue il festival della volgarità inaugurato da Matteo Salvini, ma al quale hanno poi scelto di partecipare in molti. Prevalgono però di gran lunga, tra i politici, parole di rispetto per Vendola, accompagnate però da una immediata precisazione: no alla maternità surrogata. Dalle ministre Lorenzin e Giannini allo stesso Bersani il coro è unanime. «Rispetto tutte le scelte individuali ma l’utero in affitto non mi convince», informa l’ex segretario del Pd, e il solo rivale di Renzi che sia sceso in campo deciso a combattere per la segreteria, Enrico Rossi, ribadisce: «Non esiste il diritto alla trasmissione dei geni».
Dopo il durissimo attacco “da sinistra” di Famiglia cristiana non poteva certo non arrivare quello della Cei, con Avvenire che parla di «cosificazione di una madre senza nome, senza volto e ridotta a pura esecutrice di un contratto padronale». Più insidioso e forse meno atteso l’affondo di Beppe Grillo, una cui lunga e molto critica lettera è stata pubblicata ieri in prima pagina dal Corriere della Sera. Il messaggio è arrivato subito a destinazione. Di Maio, che del resto era tra i più critici sul fronte della stepchild anche nei giorni del dibattito sulle unioni civili, adopera a sua volta parole acuminate: «Non possiamo aprire supermarket con codice a barre sui bambini». Sulle adozioni, prosegue l’astro crescente dell’M5S, deve esprimersi il popolo con un referendum. Il referendum propositivo in Italia non esiste, ma questo discorso, ove qualcuno pensasse sul serio a una legge sulle adozioni comprendente gli omosessuali, equivarrebbe a un de profundis.
Ma più che sulla legge virtuale, la vera partita rischia di giocarsi, se Nichi Vendola deciderà di rivolgersi alla magistratura, sul suo caso. La sentenza, per motivi sin troppo evidenti, farebbe scuola. I giudici dovrebbero decidere sotto tiro come forse mai prima.