Dopo quasi 17 ore di dibattito, alle 3 di ieri mattina il Senato ha deciso – 38 voti contro 31 – che tutto può restare così. Che le donne possono continuare ad abortire clandestinamente, a un ritmo di 57 interruzioni di gravidanza l’ora, ed eventualmente a morire dissanguate. A meno, è chiaro, che non siano ricche e possano pagarsi un buon medico per un aborto sicuro.

«La cosa più grave di questa notte – ha dichiarato Cristina Kirchner, a cui è stato comunque rimproverato di non aver promosso la legalizzazione dell’aborto durante il proprio governo – è che si respinge un progetto di legge senza proporre nulla di alternativo e dunque lasciando la situazione inalterata».

Ed è quanto ha affermato anche la senatrice Betty Mirkin, in uno degli interventi più appassionati durante il lunghissimo dibattito: «Se usciamo di qua senza una legge, cosa faremo poi? È evidente che l’attuale legislazione non risolve il problema. Cosa andremo a fare domani? Continueremo a punire le donne quando arrivano in ospedale con aborti realizzati in condizioni pericolose? Continueremo così?».

Dove «così» significa che nei prossimi due anni, secondo le stime, moriranno altre 174 donne e altre 98.500 finiranno in ospedale per complicazioni legate ad aborti clandestini. Ieri, dunque, le donne non hanno vinto. Hanno vinto quelli e quelle che, opponendosi all’aborto legale, sicuro e gratuito, hanno detto di aver protetto «entrambe le vite», tanto dell’embrione quanto della madre, quando non vengono difese né l’una né l’altra.

Quelli come il presidente Mauricio Macri, per il quale «non importa il risultato, oggi vincerà la democrazia», come se non fosse il risultato a fare la differenza per la vita delle donne; e quelle come la governatrice di Buenos Aires María Eugenia Vidal, che ha detto che si sarebbe sentita «sollevata» se la legge fosse stata respinta perché così, negli ospedali, le operazioni oncologiche e le cardiopatie non avrebbero dovuto competere con le interruzioni di gravidanza.

Quelli come il senatore Rodolfo Urtubey, convinto che vi siano «stupri senza violenza», come nei casi di abuso intrafamiliare, o come Esteban Bullrich, che ha motivato la sua opposizione alla legge richiamandosi alle differenze tra esseri umani e scimpanzé.

Quelli che hanno celebrato «messe per la vita» ma non hanno speso una parola contro le violenze della dittatura militare. E anzi, come ha evidenziato il senatore Pedro Guastavino (bersaglio di innumerevoli insulti sulle reti sociali), «si voltavano dall’altra parte quando torturavano le nostre compagne incinte nelle carceri clandestine».

Hanno vinto loro, ma non è a loro che appartiene il futuro. Il futuro è dell’onda verde di adolescenti, di giovani, di donne che hanno inondato le strade di Buenos Aires e di altre città e che, incuranti della pioggia, hanno continuato a difendere il loro diritto a decidere sul proprio corpo, su una maternità che o è desiderata o non è, a evidenziare il nesso inscindibile tra patriarcato e capitalismo, a rivendicare «Educazione sessuale per poter decidere. Anticoncezionali per non abortire. Aborto legale per non morire».

Un futuro che non è ancora dietro l’angolo, forse. Se, in base alla Costituzione la legge potrà essere nuovamente discussa il prossimo anno, non è affatto scontato che questo accadrà (essendo il 2019 un anno elettorale, l’attività del Parlamento subirà una drastica riduzione) né è facilissimo che i senatori contrari ci ripensino. Ma, di fronte all’ormai irreversibile cambiamento registrato nella società, è impensabile che il tema possa uscire dall’agenda politica del Paese.

Non è certo un messaggio di sconfitta quello diffuso dalla Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito: «Noi abbiamo già vinto – dice la storica femminista 89enne Nelly “Pila” Minyersky – Se i senatori non vogliono passare alla storia è un problema loro. Passeremo alla storia noi. La bocciatura del nostro progetto costerà loro molto caro. Se la legge non è passata ora, passerà l’anno prossimo. Noi continueremo a lottare». È solo una questione di tempo.

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E alla fine Macrì fa mezzo passo indietro

Dopo la bocciatura della legalizzazione dell’aborto da parte del Senato, dopo il lancio di lacrimogeni da parte della polizia ai sostenitori del disegno di legge (alcuni hanno tirato oggetti oltre le transenne che nella piazza di fronte al Congresso li dividevano dai manifestanti anti-abortisti), il presidente Macri ha fatto un mezzo passo indietro.

Ieri pomeriggio ha promesso di intervenire, non per legalizzare l’aborto ma almeno per impedire che chi interrompe una gravidanza non finisca in tribunale: il governo, ha fatto sapere ieri dalla capitale, valuterà l’inserimento della depenalizzazione dell’aborto all’interno della riforma del codice penale che sarà discussa alla fine di agosto dal parlamento. Insomma, abortire resterà un reato, ma potrebbero aumentare i casi di «eccezione». Secondo alcuni media, la modifica riguarderà invece i soggetti punibili: non più le donne, ma solo i medici.