Tra gli ultimi, ma sembra che ci arriveremo anche noi italiani! Nata da tre diverse proposte presentate dal M5s, Pd e Italia Viva, è arrivata al voto alla Camera la legge sulle attività di lobbying. Vittoria Baldino, capogruppo M5s in Commissione Affari costituzionali e relatrice del provvedimento, ha parlato di «traguardo storico». Dal 1976 ci sono stati 97 tentativi, sempre bloccati prima di giungere in Aula. L’attività delle lobby sui decisori politici è nota. La normativa, opportunamente, introduce una serie di procedure di trasparenza e controllo. Innanzitutto obbliga i lobbisti ad iscriversi ad un Registro pubblico presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, segnalando per quale titolare di interessi si opera e quali sono le «risorse umane ed economiche» investite. Tutti gli incontri tra lobbisti iscritti al Registro e decisori pubblici devono essere riportati in una Agenda, aperta alla consultazione, che ogni rappresentante di interessi deve aggiornare con cadenza settimanale.

Viene previsto un periodo di «raffreddamento» di un anno nel quale chi ha ricoperto incarichi di governo non può iscriversi al Registro dei portatori d’interessi. Nasce il Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici con funzioni di controllo e sanzionatorie e si prevede un Codice deontologico con le modalità di comportamento che i lobbisti devono seguire nelle relazioni istituzionali.

Tutto bene, quindi? Non proprio. Come ha evidenziato Lobbying4Change, la coalizione di organizzazioni che si è battuta per la legge, nel lungo iter parlamentare sono state introdotte modifiche che hanno reso meno incisiva la legge, a partire dall’aver escluso dai decisori pubblici figure apicali della pubblica amministrazione da sempre oggetto di attenzione da parte dei lobbisti.
Il richiamato periodo di «raffreddamento» in origine era di tre anni e valeva anche per tutti i parlamentari: con il testo finale, invece, una volta cessato l’incarico parlamentare, anche i presidenti di commissione o i relatori di dossier potranno diventare lobbisti influenzando le decisioni di organi in cui hanno lavorato fino al giorno prima.

Ma il punto più controverso è l’esclusione dagli obblighi della legge per le associazioni imprenditoriali e i principali sindacati. Gli attori più influenti nel campo delle lobby, come appunto Confindustria e i sindacati confederali, non dovranno registrare i propri incontri con politici e decisori nei registri come invece dovranno fare le organizzazioni della società civile impegnate a difendere diritti. Una scelta paradossale sostenuta da un fronte politico ampio (Forza Italia, Lega, FdI, Pd, Gruppo Misto, Coraggio Italia e Italia Viva) che in Commissione parlamentare ha votato quello che è stato definito l’emendamento «salva Confindustria».
Considerato che alla Camera il voto è stato blindato, si vedrà in Senato se si riuscirà a intervenire su una disposizione assurda che desta preoccupazioni per quella che appare come la volontà del mondo economico e di quello politico di tenerci all’oscuro dei processi decisionali nel nostro Paese.