Il governo ha insediato i gruppi di lavoro per la Legge di Stabilità 2016. La manovra dovrebbe essere di 27-30 mld. Alcuni provvedimenti sono obbligati, altri fanno capo alla politica del governo, ma dipenderà da fattori in qualche misura etero-diretti. Il più importante è la flessibilità (europea) dei conti pubblici, cioè un allungamento nel tempo dell’obiettivo di pareggio di bilancio strutturale – 10 mld di minori tagli tra il 2015-2016-. Vedremo quanto è flessibile l’Ue. Un altro è legato alle clausole di salvaguardia: 16 mld per il 2016 e 22 mld per il 2017. Rispetto al DEF di aprile, si aggiunge la proposta di ridurre l’Irpef, l’Ires, l’Irap e la Tasi sulla prima casa. L’aspetto inedito e giuridicamente problematico è la formazione della proposta. Il DEF di aprile non contempla la riduzione delle tasse; l’aggiornamento di settembre aggiusterà lo scivolone di Padoan, ma rimane lo strappo politico-giuridico del come si forma la politica finanziaria del governo.

La Legge di Stabilità si fonda sull’ipotesi di una crescita dello 0,9% per il 2015 e dell’1,5% per il 2016. E’ una condizione indispensabile per centrare gli obbiettivi di bilancio –rapporto deficit/PIL, avanzo primario/PIL, deficit strutturale/PIL, debito/PIL-. Alcuni segnali sembrano positivi -crescita dei consumi e financo un possibile aumento di qualche decimale del PIL-, ma occorre cautela. Non solo l’Italia cresce meno della media europea, ma nel frattempo ha perso il 20% della propria base produttiva. Le esportazioni giocano un ruolo importante, ma il contributo è modesto e, nel frattempo, la crescita dei paesi BRIC è diminuita velocemente. Al netto della flessibilità europea, i provvedimenti delineati comprimono la crescita. I tagli di spesa -4 mld dalla riforma della PA e 6 mld da ministeri e sanità- riducono la domanda, mentre i famosi 80 euro, come le risorse finanziarie per i contratti a indennità crescenti –sarebbero pronti altri 5 mld- non aiutano la domanda. Nella migliore delle ipotesi la domanda rimane stabile. Ma Legge di Stabilità deve affrontare problemi che il governo rimuove.

Da una parte abbiamo le sentenze della corte sul blocco del contratto pubblico -1,6 mld- e la perequazione degli assegni previdenziali -500 mln-, dall’altra la proposta di ridurre la pressione fiscale per di 30 mld, di cui 3,5 mld per il 2016 -Tasi e IMU-. A queste devono aggiungersi le spese indifferibili per 3 mld -missioni all’estero ed altro-, e la proposta del presidente INPS di introdurre elementi di flessibilità nella prevvidenza. In altri termini, la Legge di Stabilità è condizionata dalla crescita economica (incerta), dalle clausole di salvaguardia pari a 16 mld per il 2016 e 22 mld per il 2017, e dalla proposta di ridurre le tasse per un valore di 30 mld di euro. Gutgeld lavora per tagliare la spesa pubblica per un valore uguale alle promesse: riduzione delle public utility (sono 7.726) -servirebbe una politica di buon senso-, tagli ai ministeri e alla sanità, compensazione agli Enti locali per il taglio delle tasse ed altro ancora. Le risorse finanziarie necessarie sono enormi. Renzi pensa che un aumento del deficit temporaneo – flessibilità europea, sempre che sia concessa- e la riduzione dell’avanzo primario sia possibile centrare gli obbiettivi. Nel frattempo si lavora per recuperare 3,5 mld da girare agli Enti Locali per compensare il taglio delle imposte e rimodulare le agevolazioni fiscali. Negli anni la tax expanditure si è fatta carico di problemi che non poteva e doveva risolvere. Il caos è enorme.

Si tratta di 282 voci da monitorare per un valore di 162 mld. L’armonizzazione e l’eliminazione delle sovrapposizioni è indispensabile, ma il progetto di ridurre le tasse cambia il segno (prospettiva) del «governo» della spesa pubblica. C’è un problema di pressione fiscale, ma dobbiamo ricordare che il peso fiscale è molto alto per chi le tasse le paga, diversamente da chi le elude o le evade. Sarebbe il caso di introdurre dei meccanismi di tax compliance e redistribuire il carico fiscale, senza compromettere i servizi pubblici, favorendo il consumo dei redditi più bassi e, magari, utilizzare le risorse per la riduzione delle imposte sulla prima casa per il contratto pubblico. Sarebbe una scelta di buon senso e ripristinerebbe la parità giuridica tra lavoro pubblico e privato. Speriamo almeno che le proposte sulla lotta all’elusione ed evasione fiscale siano considerate, ma ho il sospetto che cadranno nel vuoto.