Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Il proverbio si attaglia al comportamento del governo, della sua maggioranza e purtroppo della stessa presidente della Camera Laura Boldrini, che per far approvare il decreto Imu-Bankitalia battono incessanti sul tasto della comunicazione più deteriore: «Se il decreto decade – ripetono come un disco rotto – gli italiani saranno costretti a pagare la seconda rata dell’Imu».

I deputati del Movimento 5 Stelle provano a ribattere con la forza della logica parlamentare. Già all’ora di pranzo si dicono pronti a rinunciare al loro ostruzionismo, se dal decreto sarà stralciata la parte relativa a rivalutazione, ricapitalizzazione e vendita delle quote Bankitalia. In alternativa, ricordano, può essere presentata e approvata subito una proposta di legge nelle commissioni in sede deliberante: «Una legge-sanatoria dei rapporti giuridici del decreto legge già in essere – specificano – cioè la parte riguardante la cancellazione della tassa sulla casa».

Tutto inutile. Così poco prima dell’ora di cena, mentre al programma tv l’Eredità il concorrente di turno arriva allo stage finale della ghigliottina, la lama viene politicamente usata anche a Montecitorio per consentire l’approvazione del decreto prima della sua decadenza. Anche con la presenza, decisiva per arrivare al numero legale, di Forza Italia. Ma decapitando, per la prima volta a detta degli statistici, anche il diritto-dovere degli oppositori – 5 Stelle, Sel, Fdi e Lega – di non cedere di fronte a un provvedimento considerato iniquo. Per tante, motivate ragioni. L’aula esplode, si levano urla, i deputati di Sel cantano Bella ciao e i grillini l’inno di Mameli. E’ rissa, una deputata 5 stelle sostiene di essere stata presa a schiaffi dal questore D’Ambruoso (che nega), due commessi finiscono in infermeria. La presidente Boldrini, scossa dalle grida contro di lei, lascia l’aula accompagnata dai commessi che le indicano l’ascensore laterale: «Non devo mica scappare», ribatte attraversando il Transatlantico.

Nell’arco della giornata, i media non si fanno pregare per dare una rappresentazione sbilanciata, se non apertamente distorta, di quanto sta accadendo. Nelle ore che precedono l’approvazione del decreto, appaiono rivoluzionarie le pacate osservazioni di Stefano Rodotà, e sembra un’oasi di libertà informativa il Tg24 della Sky di Murdoch che chiede al costituzionalista un giudizio su quanto avvenuto il giorno prima: «Le critiche sono sempre legittime – risponde Rodotà – Ma ci vuole rispetto per le persone, prima ancora che per l’autorità del presidente della Repubblica». Poi, fatto punto e capo dell’insulto rivolto a Napolitano dal deputato M5S Giorgio Sorial, si affronta il merito del provvedimento: «In questo decreto sono state messe insieme cose molto diverse – segnala Rodotà – i decreti dovrebbero avere materie omogenee e in questo caso l’Imu e la nuova struttura della Banca d’Italia sono due cose diversissime. Se si scorporassero le due cose, si metterebbe la discussione sui binari giusti».

I binari giusti sono, in teoria, quelli che a fine dicembre portarono Napolitano a bloccare ancor prima dell’approvazione il decreto “salva Roma”. Con la motivazione che non potevano essere inseriti in un solo provvedimento argomenti del tutto diversi fra loro. Questa volta però il Quirinale, per il momento, tace. Invece da Stefano Rodotà arriva anche un giudizio di merito sul decreto: «Credo che la preoccupazione manifestata sia corretta».

Anche al di là della controversa questione delle riserve auree, su cui il sottosegretario Baretta ha cercato di tranquillizzare i contestatori, la rivalutazione-ricapitalizzazione di via Nazionale per 7,5 miliardi avverrà con i soldi pubblici guadagnati da Bankitalia con la gestione della moneta circolante girata dalla Bce. In altre parole, la patrimonializzazione degli azionisti privati di Bankitalia – in prima fila Intesa San Paolo (30,3%) e Unicredit (22,1%) – sarà fatta con riserve della collettività, accantonate per far fronte a eventuali emergenze del paese. Somme enormi, visto che gli addetti ai lavori indicano rivalutazioni contabili comprese fra i 2,7 e i 4 miliardi per i due istituti di credito principali azionisti di via Nazionale. Inoltre sulle plusvalenze c’è una imposta agevolata del 12% invece che del 16%. E i critici calcolano che in pochi anni, attraverso la distribuzione degli utili futuri, le banche azioniste ripagheranno le tasse dovute all’aumento di capitale e inizieranno a guadagnare.

Anche sul capitolo della vendita della quote eccedenti il 3%, in teoria per trasformare Bankitalia in una public company, lo scontro resta e restarà al calor bianco. Al pari dell’atmosfera a fine seduta: nonostante la nota del Tesoro («Nessun regalo alle banche»), i deputati pentastellati non volevano abbandonare Montecitorio.