La legge Fiano è stata approvata ieri sera dalla camera, con 261 voti a favore, 122 contrari e 15 astensioni. Gli emendamenti approvati la hanno un po’ mitigata, senza modificare l’opposizione della destra e dell’M5S, ma soprattutto senza dissipare i dubbi legittimi che la legge desta. Il tentativo di rinvio di Fdi, che aveva chiesto di far slittare il dibattito, è stato subito bocciato anche dai grillini, inizialmente favorevole allo slittamento, hanno cambiato idea dicendosi pronti al voto favorevole purché venisse approvato l’emendamento che rendeva più rigorosa la legge Scelba contro l’apologia di fascismo senza aggiungere una nuova proibizione. In effetti non è facile, in un testo di poche righe come questo, capire dove sia la differenza di questa legge rispetto a quella voluta dal ministro degli interni più duro della storia della Repubblica nel 1952 (soprattutto come alibi e copertura per la sanguinosa repressione che stava mettendo in atto contro la sinistra).

La legge prende di mira non la ricostituzione del partito fascista, proibita con disposizione transitoria dalla Costituzione ma l’oggettistica, purché sia adoperata come strumento di propaganda (e non ci capisce bene cosa la specifica significhi), la gestualità, in soldoni il saluto romano che Ignazio La Russa si è peritato di fare subito in aula durante il proprio intervento, la diffusione «dei contenuti» dei partiti fascista e nazista ma soprattutto la «propaganda in rete». In questo caso infatti la già pesante pena che va da sei mesi a due anni di carcere viene aumentata di un terzo.

«Semplicemente surreale. Viola elementari diritti umani», taglia corto Giorgia Meloni, chiamata quasi direttamente in causa ma Salvini non è da meno: «Legge demenziale che punisce chi possiede un accendino con Mussolini». Grillo, come da copione, fa il grillocentrico: «Antifascismo a intermittenza: quando Pd e partiti limitrofi non sanno come contrastare le nostre posizioni di buon senso gridano al fascismo». La più ironica è Alessandra Mussolini: «E io che faccio, cambio cognome?».

Fiano ha contestualizzato la sua legge nel quadro di una minaccia fascista che sta riprendendo corpo in Europa. Ma non è solo la destra e tantomeno sono solo i sospetti nostalgici a criticare il provvedimento. Anche parlamentari certamente antifascisti come Parisi, di Scelta civica, hanno preso di mira con argomenti seri questa modifica del codice penale che, con il nuovo art. 293bis, rischia fortemente di sconfinare nella lesione della libertà di pensiero e di parola da un lato, e di rivelarsi del tutto inefficace, se non controproducente in termini di propaganda, dall’altro.

La discussione è stata preceduta, come era inevitabile in un’estate segnata soprattutto (ma non solo) sull’altra sponda dell’Atlantico dall’assurda «campagna delle statue», da una polemica sull’obelisco romano che, al Foro Italico, si fregia della scritta «Mussolini Dux». Intervistato da Radio 24 Fiano ha ipotizzato, per la verità tra le righe, la cancellazione della scritta: «Sono contrario all’abbattimento dei monumenti, ma l’abrasione della scritta è una cosa che, in Italia, è già stata fatta in molti posti». Poi, dopo la prevedibile ondata di reazioni polemiche, il parlamentare del Pd ha frenato a tavoletta: «Mai proposta la cancellazione della scritta o l’abbattimento di monumenti dell’epoca fascista».
Licenziata dalla camera, la legge dovrà passare per le forche caudine del senato. Sempre che si arrivi a discuterla in tempo utile, e non è affatto detto.