Un terzo dell’emiciclo vuoto, 334 deputati favorevoli, molti meno della maggioranza di governo eppure sufficienti per approvare la nuova legge elettorale. Che non è una riforma della Costituzione ma cambierà nella sostanza la forma di governo con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, al quale sarà garantito il controllo dell’unica camera politica destinata a sopravvivere. Si voterà per l’esecutivo e non più per la rappresentanza parlamentare.

Alle sei e venti del pomeriggio l’aula di Montecitorio chiude un decennio di tentativi di modifica della legge Calderoli licenziando un quasi clone, simile nel merito – premio di maggioranza e «nominati» – e identico nel metodo. Berlusconi nel 2005 non aveva messo la fiducia, ma anche quella legge elettorale fu approvata solo dalla maggioranza di governo. Con qualche voto in meno alla camera, 323 (e l’opposizione anche allora fuori), solo perché non c’era il super premio di maggioranza, introdotto proprio dal Porcellum e confermato adesso dall’Italicum.

La legge da oggi è alla firma di Mattarella, al quale si sono rivolti alcuni deputati di minoranza, soprattutto i 5 stelle dall’aula di Montecitorio, per chiedergli di non firmarla. Mentre il coordinamento per la democrazia costituzionale che ha raccolto le firme contro l’Italicum dopo un incontro – un po’ tardivo, ieri – con la presidente della camera, cercherà di far arrivare il suo appello anche al Quirinale. In settimana si riuniranno i giuristi che intendono portare la nuova legge davanti alla Corte Costituzionale, come già il Porcellum, ed è avviata la discussione sul quesito referendario con il quale cominciare a raccogliere le firme per l’abrogazione. Nessuno realmente crede che Mattarella possa non firmare, ma è possibile che il capo dello stato debba in qualche modo accennare allo squilibrio dell’Italicum, che serve ad eleggere solo la camera dei deputati ma è legge dello stato prima della cancellazione del senato elettivo. A questo dovrebbe rispondere la clausola di salvaguardia che prevede l’entrata in vigore della nuova legge elettorale solo nel luglio 2016. Nulla però garantisce che per quella data la revisione costituzionale sia compiuta (anzi, le convulsioni nel Pd e la rottura del Nazareno suggeriscono il contrario).

La possibilità che il senato debba essere eletto con un’altra legge – il Consultellum, cioè proporzionale senza premio ma con alte soglie e una preferenza – è il primo problema dell’Italicum, soprattutto perché espone la legge a quella «irragionevolezza» che per la Consulta è criterio di illegittimità: una volta scelto il sistema proporzionale, il legislatore lo può piegare per esigenze di governabilità ma la distorsione diventa inutile se non c’è garanzia che al senato ci sia una maggioranza omogenea con quella della camera. Anche il secondo problema dell’Italicum ha a che fare con i rischi di costituzionalità: riguarda la violazione dell’uguaglianza tra candidati di una stessa lista: il capolista «blindato» non ha bisogno delle preferenze, tutti gli altri sì. La tutela del primo in lista concessa a Berlusconi e le pluricandidature regalo per Alfano moltiplicano il rischio del voto al buio: l’elettore che indica una o due preferenze lo fa invano se il suo partito non risulta il vincitore delle elezioni, e contribuisce a eleggere il capolista, persino in un altro collegio o circoscrizione.

Un altro problema della nuova legge riguarda il premio di maggioranza, che assegna il 15% dei deputati in più a chi raggiunge il 40% al primo turno, ma assicura il 55% anche al vincitore del ballottaggio. Che a quel punto può ben essere un partito che è rimasto al di sotto del 30% al primo turno. Il premio finale, in definitiva, può risultare più alto di quello assegnato nel 2013 dal Porcellum; all’obiezione il governo risponde definendo il ballottaggio un vero e proprio altro turno elettorale – con la speranza che non ci sia il consueto calo di affluenza tra prima e dopo.

Al secondo turno votano anche gli elettori di quelle regioni, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno già scelto i propri rappresentanti con un sistema diverso al primo turno: il che conferma che si tratta di un’elezione non tanto dei deputati ma del governo e del capo del governo. Proprio gli eletti in Trentino e Val d’Aosta, se la legge fosse applicata alla lettera, rischierebbero di far salire il numero dei deputati oltre la quota costituzionale dei 630: il governo ha risposto a quest’obiezione (dei 5 Stelle) con un invito al buonsenso, e con nessuna modifica.

Infine, caso unico, l’Italicum tiene insieme lo sbarramento per le minoranze e il premio per la (cosiddetta) maggioranza. Il risultato è una distorsione spinta della proporzionalità che può dar luogo a risultati «bislacchi». Nel caso – nemmeno tanto limite – di due partiti sopra il 30%, il primo che sfiora il quorum del 40% senza raggiungerlo, e tutti gli altri partiti sotto la soglia del 3%, ecco che il primo partito andrebbe al ballottaggio avendo già conquistato tutti i 340 seggi in palio e magari qualcuno in più. Al secondo turno, allora, potrebbe solo perdere.