Ad una settimana dalla presentazione, il testo dell’atto Camera 1071 è ancora desaparecido. La proposta di legge di M5s e Lega per tagliare le pensioni d’oro pare sia in fase di riscrittura dopo le tante polemiche sui suoi effetti specie per i ripensamenti della Lega.
E dire che il 7 agosto (il giorno dopo la presentazione) Riccardo Molinari, capogruppo della Lega e co-firmatario con l’omologo del M5s Francesco D’Uva, twittava contento: «Abbiamo presentato la proposta di legge che prevede il ricalcolo sul retributivo delle pensioni per la parte eccedente gli 80 mila euro lordi, col ricavato alzeremo le minime fino a 780 euro» con l’hashtag «equità» rivendicando a tutto il gruppo «LegaCamera» il contenuto.
Evidentemente non aveva letto bene o si era fidato dei tecnici che avevano redatto il testo. Il problema di fondo rimane: il ricalcolo contributivo è possibile solo stimando il montante (l’insieme dei contributi) visto che milioni di italiani (primi fra tutti i dipendenti pubblici) non erano tenuti a versarli. Pertanto si deve lavorare sui coefficienti di trasformazione fissati dall’odiato presidente dell’Inps Tito Boeri rispetto all’età di uscita. Quanto alle conseguenze di un siffatto criterio è chiaro che chi ha lavorato più a lungo (professori universitari e magistrati che avevano limiti di età più alti) saranno favoriti. Come è altrettanto vero che le donne (a cui erano riservate uscite anticipate nell’idea poco paritaria che dovessero accudire la famiglia) siano penalizzate. Stesso discorso per chi è uscito a causa di crisi aziendali.
Una riscrittura del testo eliminando queste penalizzazioni non è affatto semplice. Così come convincere il M5s a vivare su un contributo di solidarietà – proposto dal berlusconiano Alberto Brambilla, autore in quota leghista del capitolo pensioni del contratto di governo allargandolo anche alle pensioni fino a 2mila euro lordi – già bocciato lunedì da Luigi Di Maio come «incostituzionale».
«Questo testo di legge è un miscuglio di improvvisazione ed inesperienza sulla materia», attacca l’ex ministro ed esperto di previdenza Cesare Damiano (Pd). «Colpisce è la distanza fra quello che dichiarano i capigruppo e quello che hanno scritto. Anche il ministro Di Maio – continua Damiano – non ha letto quel testo e in più sbaglia a sostenere che il contributo di solidarietà è stato bocciato dalla Consulta, visto che la sentenza dell’anno scorso ha considerato legittimo il provvediemento del governo Letta».
Per Damiano la strada da seguire è quella. «A patto di abbassare la soglia a 4mila euro lordi al mese». «La Corte costituzionale apprezzò la progressività del contributo Letta che partiva dai 91mila euro lordi (contro gli 80mila attuali)». Sul rischio di ricalcolo contributivo di ogni pensione Damiano è un precursore: votò in dissenso dal gruppo Pd sul ddl Richetti sui vitalizi. «Boeri è lo spacciatore di formule per il governo giallo-verde: le sue tabelle sui coefficenti di trasformazione sono insensate così come il ricalcolo, va rispettato il criterio di affidabilità dello stato: si è andati in pensione secondo le regole vigenti, la retroattivi è illegittima».