Ogni giorno ormai ha la sua versione di Quota 100 e delle nuove norme sulle pensioni. Milioni di italiani bloccati dalla riforma Fornero consultano forsennatamente le novità per capire se potranno andare finalmente in pensione. Ieri il borsino del governo virava al bello con le solite indiscrezioni che promettevano mari e monti per tutte le varie categorie interessate.

LA NOVITÀ RIGUARDEREBBE l’adeguamento all’aspettativa di vita. Il meccanismo inserito dal leghista Maroni nel 2004 e accelerato da Elsa Fornero che manderà gli attuali precari oltre la soglia dei 70 anni. Ebbene, la Lega ora promette di stopparlo, sì, ma senza cancellare l’ultimo scatto previsto dal primo gennaio: dunque – a parte Quota 100 – dal 2019 si andrà in pensione di vecchiaia a 67 anni, ma lo scalino di 5 mesi sarà l’ultimo. Scalino cancellato invece per la pensione anticipata che nel 2019 rimarrebbe a 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne).

L’ADEGUAMENTO all’aspettativa di vita però è un dogma intoccabile per Fmi e Bce e dunque le reazioni saranno funeste.

Quota 100 invece avrebbe il paletto dei 38 anni contributi (molto alto e raggiungibile in pratica solo da dipendenti pubblici e lavoratori privati del Nord). Ciò significa che Quota 100 varrà solo per chi ha 62 anni: sarà Quota 101 per chi ha 63 anni, Quota 102 per chi ha 64 anni e via calcolando.

GRANDE INTERROGATIVO sul numero invece di anni di contributi figurativi concessi: se fosse anche di 3 (l’alternativa è 2 anni) la platea di donne e lavoratori che hann o subito la crisi si assottiglierebbe fortemente.

L’altra novità riguarda l’Ape sociale, la misura del governo Renzi per un reddito ponte per gli over 63 in condizione di bisogno (disoccupati con almeno 30 anni di contributi, persone con lavori gravosi con almeno 36 anni di contributi) che sarebbe scaduta a fine anno. Ora il governo pensa invece di prorogarla fino alla fine del 2021. Ma il costo non è poco: sfiora il miliardo.
LE DONNE SONO LA CATEGORIA più a rischio per Quota 100 e allora il governo ora lavora all’estensione della cosiddetta «opzione donna» ma il requisito iniziale (oltre alla finestra di un anno e all’aspettativa di vita) dovrebbe aumentare di un anno passando da 57 a 58 anni (59 per le autonome). Di fatto la possibilità di uscire ricalcolando tutti i propri contributi con il metodo contributivo sfiorerà per le lavoratrici dipendenti i 60 anni (58 anni, più un anno di finestra mobile più sette mesi di aumento di aspettativa di vita) avendo almeno 35 anni di contributi.

SECONDO I TECNICI DELLA LEGA la platea potenziale dei lavoratori interessati a tutti questi provvedimenti in uscita nel 2019 sarebbe addirittura di 418mila persone (377mila dei quali con il mix tra età e contributi), praticamente più del doppio degli attuali pensionandi. La spesa supplementare viene invece (sotto)stimata in poco meno di otto miliardi.

IL DIRITTO AD ANDARE in pensione viene richiesto a gran voce anche dai lavoratori che hanno operato in fabbriche piene di amianto. Cgil, Cisl, Uil hanno chiesto la riapertura dei termini per il riconoscimento ai fini previdenziali dell’esposizione dei lavoratori all’amianto. Dopo l’audizione alla commissione Lavoro della Camera però i sindacati hanno chiesto un incontro al ministro del Lavoro Luigi Di Maio e annunciato un presidio davanti al ministero per il 6 novembre. «La riapertura dei termini almeno fino al 2003 – si legge nella nota congiunta – è necessario per decine di migliaia di lavoratori rimasti esclusi per i meccanismi controversi. In più serve il risarcimento delle vittime attraverso il Fondo di sostegno ai malati».