A 24 ore dallo start la partita delle presidenze delle Camere non sembra più in alto mare. La delegazione di M5S ha incontrato quelle di tutti gli altri partiti. Salvini ha fatto il punto direttamente con Berlusconi ma l’ultima parola, per quanto riguarda la candidatura chiave, quella del centrodestra per palazzo Madama, arriverà solo dopo il vertice di oggi, intorno alle 12.30 a Roma. Salvo improbabili sorprese, dal cilindro dei tre leader della coalizione non uscirà fuori un nome ma una rosa da sottoporre al vaglio di M5S. Difficile fare diversamente. Berlusconi si è convinto che cancellare la candidatura di Paolo Romani in seguito al veto di Di Maio sia impossibile: si tratterebbe di un atto di sottomissione. In compenso mettere in campo solo il nome del capogruppo azzurro sarebbe un gesto di rottura con M5S. Non è quello che vuole Salvini e ormai non è neppure più quello che vuole Berlusconi, che appena due giorni fa, in una delle diuturne telefonate con il leghista, ha dato il suo sofferto assenso al dialogo con i 5S.

DUNQUE A FIANCO di Romani, il cui nome dovrebbe essere depennato direttamente da Di Maio, figureranno sicuramente quello di Maurizio Gasparri, in omaggio all’anzianità di servizio, e quello di Annamaria Bernini, vicepresidente dei senatori. Il semaforo verde di Di Maio per Gasparri non è facile: per un M5S che sin dall’inizio della campagna elettorale fa il possibile per coltivare ottimi rapporti con l’elettorato di sinistra un ex missino non è il massimo dell’auspicabile. Di fatto, almeno tra i petali azzurri, la favorita è Bernini. Avvocatessa, ex ministra, molto stimata in parlamento ha ottimi rapporti anche a sinistra. Dovrà vedersela in realtà soprattutto con le candidature della Lega, che restano però ancora incerte.

Ieri, nel colloquio con il signore di Arcore, Salvini ha voluto parlare, più che di palazzo Madama, del Friuli Venezia Giulia. È pronto a cedere lo scranno sin qui occupato da Grasso agli azzurri, ma mira a rimettere in campo Fedriga come candidato governatore al posto del forzista Tondo, che sino a ieri mattina pareva invece già designato. In serata Giorgetti, di fatto il capo della diplomazia leghista, ha confermato: «Con M5S avevamo i numeri per eleggere i presidenti delle Camere e per fare un governo ma noi siamo responsabili. Ci siamo sempre mossi come centrodestra. Ma o si fa un governo che dura o si va al voto. Il lavoro sarà paziente, ci vogliono i giorni e le notti come per le presidenze. Ma anche Fi deve collaborare per trovare una soluzione».

NESSUNA PRECLUSIONE a una presidenza azzurra da parte del Carroccio, dunque, ma nella rosa almeno un nome leghista dovrebbe esserci. Trovarlo non è facile. Calderoli sarebbe stato un ottimo presidente del Senato. È risaputo che nessuno sa governare l’aula meglio di lui. Ma con il caso Kyenge di mezzo e il conseguente veto dei 5S, anche senza contare la mai del tutto superata diffidenza di Salvini, è fuori gioco. Giulia Bongiorno, avvocata di grido ed ex presidente della commissione Giustizia, provoca brucianti coliche a Berlusconi solo a esser nominata. Nonostante l’appoggio di Ghedini è difficile che il petalo verde sia lei, col rischio che proprio quel nome venga sottoscritto dai 5S. Resta Lucia Borgonzoni, fedelissima del capo leghista e già candidata sindaco a Bologna. Però è completamente digiuna di cultura istituzionale, priva di qualsivoglia esperienza in materia ed è un’impresa immaginarsela seconda carica dello Stato.

Nessun problema invece sull’assegnazione della Camera a M5S. Di tutte le delegazioni incontrate ieri dal movimento di Di Maio nessuna si è detta contraria. La scelta spetterà dunque solo alla lista di maggioranza relativa, con tre nomi in campo: Riccardo Fraccaro, Giulia Grillo e Roberto Fico. Pur nel caos, dunque, ieri sera si profilava una possibile soluzione per il rebus delle presidenze e sono già in corso trattative sulle vicepresidenze. Il tavolo delle Camere e quello del governo saranno pure svincolati, come ripetono tutti da giorni, ma non c’è dubbio che, se la palla andrà in buca venerdì, sarà un ottimo viatico per tentare l’azzardo di una maggioranza composta dall’intera destra e M5S.