La pedina è stata sistemata: la maggioranza ha incardinato la riforma della legge elettorale in prima commissione alla camera 24 ore prima che i giudici della Corte costituzionale siederanno, oggi pomeriggio, per decidere l’ammissibilità del referendum elettorale della Lega. Il testo parlamentare propone un sistema proporzionale semi puro, corretto da una soglia di sbarramento alta (il 5%). L’eventuale esito favorevole del referendum, all’opposto, porterebbe a un sistema totalmente maggioritario: tutti i parlamentari sarebbero eletti in sfide uninominali nei collegi dove chi arriva primo prende tutto e i voti dei perdenti non contano.

I segnali che i giallo-rossi intendono mandare alla Corte costituzionale sono due. Innanzitutto che il parlamento non è inerte, e poi che la maggioranza ha imboccato tutt’altra strada rispetto a quella indicata dai referendari. Ragione per cui se la Corte volesse fare leva sulla collaborazione del parlamento per ammettere un quesito di per sé non auto applicativo, ebbene sappiano i giudici che l’orientamento maggioritario delle camere non è quello di abbracciare la soluzione proposta con il referendum.

Dall’altra parte anche la Lega si sta muovendo per mandare segnali alla Corte, consapevole che questo genere di contrapposizione non gioca più a suo vantaggio. I leghisti hanno capito che presentare alla Corte un salto nel buio non giova alla loro causa, dal momento che comunque la si voglia mettere è fin troppo chiaro che sull’esito del referendum dovranno, poco o molto, intervenire sia il parlamento che il governo (per ridisegnare i collegi elettorali). Ecco perché da due giorni e ieri con più insistenza i dirigenti della Lega hanno ripreso a parlare della legge elettorale del 1993, quella che porta il nome dell’attuale capo dello stato.

Salvini e i suoi tentano un salto nel passato, a 27 anni fa quando in questi giorni – era il 16 gennaio – la Corte costituzionale ammise un referendum elettorale che – come quello di oggi – la gran parte dei giuristi considerava manipolativo e inammissibile. A quelle atmosfere di scelta più politica che di diritto – affidare al popolo l’opzione sul sistema di voto e in fondo sul sistema istituzionale – ritorna molto la memoria che hanno depositato gli avvocati che sostengono, per conto della Lega, la richiesta di referendum. L’operazione leghista si completa con la proposta di recuperare il Mattarellum, proprio la legge elettorale che fu fatta in seguito alla vittoria dei Sì al referendum elettorale del ’93. Quella legge prevedeva una quota maggioritaria (il 75%) ma non totalitaria di seggi assegnati con l’uninominale. E il recupero proporzionale era favorito, almeno alla camera, dal doppio voto e dal meccanismo dello scorporo.

Giancarlo Giorgetti, che nel ’93 non era ancora in politica (mentre Salvini era già consigliere comunale), ieri è stato molto chiaro con il Foglio: «Abbiamo presentato il referendum nell’unico modo possibile, però la nostra proposta di mediazione politica è il Mattarellum». E Roberto Calderoli ha annunciato che presenterà anche alla camera, dove la maggioranza vuole discutere il proporzionale, il suo testo di legge già depositato al senato in cui molto semplicemente (forse troppo) cancella le ultime due leggi elettorali volendo così riportare in vita il Mattarelum. Rivendica, Calderoli, la coerenza di averlo proposto già da anni. Non può rivendicare quella di essere stato proprio lui, nel 2005, a cancellarlo con il Porcellum.