Un po’ meno custodia cautelare in carcere (disposta solo per i delitti con pena edittale superiore a 5 anni) e un po’ più domiciliari, pene alternative (attenuati i divieti per i recidivi, soprattutto se tossicodipendenti) e lavoro per i detenuti. Ma anche la conferma dei compiti da assegnare al Commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, figura nata ai tempi di Franco Ionta a capo del Dap e totalmente inutile perfino solo ad approntare quel piano per l’edilizia carceraria raccontato per anni come la soluzione di tutti i mali. Sono queste – luci e ombre – le misure più significative contenute nella legge di conversione del decreto Severino, erroneamente chiamato «svuotacarceri», definitivamente approvato ieri dall’Aula del Senato con 195 voti a favore e 57 contrari (Fratelli d’Italia, Lega e M5S).

La bagarre della Lega sugli scranni era prevista e come nell’ultimo giorno di scuola è diventata festa goliardica a suon di fischietti e cartellini rossi per mandare «a casa subito il governo Letta». Che poi è anche il governo degli ex alleati berlusconiani, ai quali Roberto Maroni rivolge un esplicito avvertimento: «Se qualcuno pensa all’amnistia, sappia che dalla Lega avrà altro che Vietnam o Afghanistan…». È il refrain della «guerra civile» che torna; e stavolta con qualche presupposto in più rispetto a quella annunciata da Bondi, perché è vero che mai il Pdl si era schierato in massa a favore dell’amnistia prima che la condanna della Cassazione la tramutasse nell’unica strada per la libertà del Cavaliere. Da giorni infatti l’«esercito di Silvio», composto a loro dire da «500 reggimenti», ha annunciato la raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare in favore dell’amnistia. Un provvedimento che fino a un anno fa Angelino Alfano vedeva come fumo negli occhi. E che durante il governo Berlusconi scatenava una sola parola d’ordine: «Mai con questa maggioranza» (Gasparri e co.). Ieri invece l’unico balbettio in odor di diserzione è uscito dall’ugola di Renato Brunetta: «Facciamo prima una grande riforma della giustizia, poi si può anche pensare all’amnistia».

E sulla riforma della giustizia Maroni ha tirato fuori il suo pacchetto di proposte, confezionato con un messaggio per Berlusconi: «Alla Lega interessano i cittadini e non i vip». La proposta comprende anche il sostegno a quattro dei referendum Radicali: sulla responsabilità civile dei magistrati, sulla separazione delle carriere, sul rientro dei fuori ruolo e, su un altro tema, quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. «A settembre presenteremo tre disegni legge – ha annunciato il segretario leghista – Il primo per l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale per evitare l’ipocrisia della discrezionalità dei giudici. Il secondo ha come obiettivo riportare le indagini preliminari agli organi di polizia per evitare abusi. Il terzo punta a far scontare ai cittadini extracomunitari il carcere nei loro paesi di origine».

Ecco, è quest’ultimo il piatto forte del Carroccio: visto che «gli stranieri attualmente nelle carceri italiane sono 23 mila» e visto che l’Europa «ci chiede appunto di ridurre la nostra popolazione carceraria di 20 mila unità», come ragiona il deputato Nicola Molteni con una logica alquanto sfuggente, basta dunque «siglare trattati bilaterali soprattutto con i Paesi del Maghreb» per rispedire «a casa» i detenuti extracomunitari. «Da ministro dell’Interno – ha spiegato Maroni – ho siglato diversi accordi di questo tipo, anche perché esiste un accordo-quadro europeo che consente di farlo, naturalmente nel rispetto dei diritti del detenuto e con il suo consenso». Ovvio che nemmeno in questo caso si potrà parlare di «svuotacarceri».