Due morti ad oggi. Almeno 22 persone colpite e ricoverate d’urgenza. Oltre 70 casi gravi da metà dicembre prima che le istituzioni avviassero la caccia – goffa e contraddittoria – al killer invisibile.

Non si tratta del racconto di un sofisticato attacco terroristico, ma della più estesa crisi sanitaria che ha colpito Stati Uniti e Canada negli ultimi anni. E che avrebbe causato decine di vittime silenziose se l’associazione di consumatori statunitense Consumers Union non fosse intervenuta rendendo il caso di pubblico dominio.

Il pericoloso cecchino veste i panni di una lattuga: quella Romaine Lettuce alla base della tradizionale Cesar Salade e companatico di larga parte degli hamburger in vendita. La lattuga romana ha avuto origine in Italia dove era già conosciuta nel Medio Evo. Fu Cristoforo Colombo a portarla in America senza sapere che quest’anno sarebbe andata di traverso a chi sostiene che prima di ritirare un prodotto pericoloso dal mercato non basta un fondato sospetto, come prevede la legislazione europea basata sul «principio di precauzione», ma serva una «prova obiettiva», «scientifica», come propongono le leggi d’oltreoceano e i trattati di liberalizzazione commerciale che la Commissione Europea sponsorizza, come il Ceta con il Canada.

Ai primi di gennaio 2018 i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) statunitensi segnalano il dilagare di un’infezione da Escherichia coli in ben 13 Stati federali. Riportano anche che le vittime da loro intervistate ricordano di aver mangiato «almeno un po’ di lattuga» prima di sentirsi male. Secondo i Cdc, però, non è certo che sia la lattuga la causa dell’infezione. E’ da settimane che Consumers Union (Cu), organizzazione che vanta un curriculum nella protezione dei concittadini che risale al 1936, mette sotto pressione le istituzioni americane dopo aver buttato lo sguardo oltre confine: «Le autorità canadesi hanno lanciato da metà dicembre l’allarme Escherichia coli, contattando le autorità limitrofe e avvisando i propri cittadini di evitare la lattuga» – denuncia il responsabile delle politiche alimentari di Cu Jean Halloran. «E fin da dicembre è chiaro che il batterio dell’Escherichia Coli che ha causato vittime nei nostri due Paesi sia geneticamente correlato».

Insomma se il batterio è lo stesso, la verdura contaminata arriva dalla stessa partita. Halloran ottiene solamente un’ammissione di impotenza da parte da parte della portavoce dei CDC Brittany Behm: le autorità americane «non avendo identificato una precisa fonte di infezione», non sono in grado «di raccomandare ai cittadini statunitensi se astenersi o no da tali cibi».
In questi giorni l’allarme rosso in Canada è rientrato e non si registrano nuovi casi nemmeno negli Usa dove la maggior parte delle persone e dei loro medici, non avendo ricevuto nessuna allerta ufficiale da parte delle autorità, potrebbe però non accorgersi dell’infezione e scambiarla per un male di stagione.

L’Escherichia coli, che si annida nelle feci e contamina le verdure irrigate o impacchettate in ambienti contaminati, è un batterio subdolo: colonizza la mucosa intestinale e oltre a vomito, dissenteria e febbre può causare in particolare nei bambini, nel tempo, insufficienza renale acuta e cronica. Ma la colpa della pandemia non è sua, e a guardar bene nemmeno della povera lattuga.
Capire chi l’ha prodotta e contaminata non sarebbe difficile: tra Canada e Stati Uniti da oltre vent’anni le merci circolano libere grazie al trattato commerciale North America Free Trade agreement (Nafta), attualmente in rinnovo. Gli Stati Uniti sono, soprattutto in controstagione, i fornitori di oltre il 70% della lattuga consumata in Canada. Basta farsi un giretto su internet per apprendere che Yuma, Arizona, e le sue 93mila anime e svariate migliaia di pendolari che tutti i giorni arrivano da California e Messico, producono il 90% di tutte le verdure a foglia che spuntano negli Stati Uniti da novembre a marzo e servono i consumi interni e le esportazioni. Grazie al fiume Colorado e a un cielo che le vale il Guiness mondiale delle giornate senza nuvole (c’è sole per circa il 95% dell’anno), grandi operatori come Dole detengono il monopolio di ettari e ettari di colture intensive e meccanizzate dove la lattuga viene coltivata, raccolta, lavorata, sciacquata e direttamente impacchettata per la spedizione direttamente nei campi. L’agenzia statunitense per la sicurezza alimentare Fda, quindi, potrebbe tracciare e capire facilmente da dove arriva la lattuga killer e fermarla. «Grazie al Food Safety Modernization Act – sottolineano da Consumers Union – l’Fda avrebbe addirittura l’autorità di ritirarla dal commercio una volta rintracciata, e nel frattempo lanciare un allarme generale». Ma non l’ha fatto, dichiarando di non essere riuscita a risalire alla fonte dell’intossicazione. Non avendoci nemmeno provato, sospettano i consumatori.

D’altro canto il Nafta proibisce al Canada di porre agli Usa «restrizioni al commercio oltre un appropriato livello di protezione fitosanitaria». In assenza di un ritiro del prodotto da parte statunitense, dunque, qualsiasi stop all’import di lattuga sarebbe risultato «inappropriato» e il Canada poteva subire un ricorso commerciale presso il meccanismo di arbitrato istituito dal trattato stesso, da parte dell’impresa americana di cui avesse rifiutato la lattuga.

E questo nonostante lo stesso commissario dell’Fda Scott Gottlieb abbia ammesso in un comunicato, proprio nei giorni di natale, che la sua agenzia è «troppo lenta» nel ritirare i prodotti pericolosi, e che i tempi di alcuni di questi procedimenti, fino a tre anni, suscitano «preoccupazioni significative». Parafrasando gli accusatori dello scandalo Watergate: chi comprerebbe una busta di insalata – o un trattato commerciale – da paesi con regole così?