In un clima segnato dall’escalation di tensione lungo le linee tra Gaza e Israele, con Benyamin Netanyahu che ieri sera ha minacciato una ritorsione durissima al lancio di razzi dalla Striscia (seguito all’uccisione, martedì, da parte dell’aviazione israeliana di tre membri del Jihad Islami) e il ministro degli esteri Lieberman che ha esortato a «rioccupare Gaza», la Knesset, assenti tutti i deputati dell’opposizione, ha dato ieri l’ok definitivo alla legge che impone gradualmente il servizio militare anche agli ebrei ultraortodossi. Un “sì” giunto in una settimana in cui il Parlamento israeliano ha approvato o si prepara ad approvare leggi fortemente volute dalla coalizione ultranazionalista che forma il governo. L’altra sera la maggioranza dei deputati aveva alzato la soglia di sbarramento elettorale dal 2% al 3,25%, nonostante le proteste dei partiti d’opposizione, soprattutto di quelli arabi e religiosi ortodossi che saranno i più penalizzati dalla “novità”. Il governo Netanyahu ora punta a far votare che qualsiasi ritiro da territori occupati palestinesi debba prima essere approvato da un referendum tra gli israeliani.

Il servizio militare anche per i religiosi è un successo per quella parte dello schieramento politico, capeggiata dal partito laicista Yesh Atid, che nell’ultima campagna elettorale aveva puntato proprio sull’eliminazione dei privilegi per gli ebrei ultraortodossi descritti come “parassiti”. E’ la fine del sistema che ha permesso, fin dalla nascita di Israele, nel 1948, a decine di migliaia di studenti delle scuole talmudiche di evitare la leva. La nuova legge, che entrerà gradualmente in vigore tra tre anni, prevede sanzioni contro quanti si rifiuteranno di prestare servizio militare. Una minaccia che non spaventa gli ultraortodossi che denunciano una «persecuzione religiosa» e si dicono pronti a lottare. Già a inizio marzo hanno dato una tremenda dimostrazione di forza portando in strada a Gerusalemme almeno 300mila persone, una delle manifestazioni più grandi mai organizzate in Israele.

Gli ebrei “haredim”, i timorati, sono degli obiettori di coscienza particolari, che rifiutano di indossare la divisa per motivi diversi da quelli di altri obiettori in Israele. Non si oppongono alla leva per ragioni politiche ma per motivi religiosi e per preservare il loro modello di vita, fondato sullo studio dei testi sacri e sulla preghiera. Gli ultraortodossi ebrei non credono nel militarismo, ne sono lontani anni luce. Pensano piuttosto che il loro impegno nel conservare e perpetuare tradizioni millenarie sia un contributo decisivo all’Ebraismo. Argomenti che un laico può non condividere ma che dovrebbe rispettare. Non la pensano così Yesh Atid e il suo leader Yair Lapid che mascherano la campagna d contro la comunità “haredim” (circa 800mila persone, 10% della popolazione) con la redistribuzione di obblighi ed oneri tra tutti i cittadini e nella fine dei sussidi pubblici ai religiosi. Non sorprende che tra i più accaniti sostenitori del servizio di leva anche per i “timorati” ci sia il partito “Casa Ebraica” di Naftali Bennett, rappresentazione più compiuta della corrente sionista religiosa. Per questa forza politica, molto popolare tra i coloni israeliani nei Territori occupati, fare degli ebrei ultraortodossi dei buoni soldati rappresenterà un successo di eccezionale importanza per il movimento sionista. Da questo punto di vista non è insignificante il forte aumento dei militari religiosi e ultranazionalisti che si registra da qualche anno ai gradi più alti dell’esercito israeliano.

Un’altra vittoria per la destra ultrasionista è giunta nell’aula della Corte Suprema che due giorni fa ha riconosciuto i coloni israeliani come i “legittimi proprietari” del palazzo palestinese al Rajabi, nella Città Vecchia di Hebron. Un verdetto che permette ai coloni di impossessarsi di un edificio di 3.500 metri quadrati, quattro piani per venti appartamenti, nel quartiere di a-Ras, accanto alla Tomba dei Patriarchi.