Occhi sgranati sul mondo attraverso il cinema. Questo è ancora una volta il Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina che inaugura oggi a Milano per concludersi il prossimo venerdì. Film d’apertura Infancia clandestina di Benjamin Avila che ci porta al 1979, nell’Argentina oppressa dalla dittatura militare. I genitori del dodicenne Juan sono oppositori Montoneros in esilio a Cuba, decidono di rientrare per contrastare il regime in patria. In clandestinità. Padre, madre una sorellina piccola e Juan costretto a cambiare nome, ora sarà Ernesto.

Ma non è facile per un ragazzino custodire segreti, festeggiare un compleanno tarocco, vedere cose brutte e non poter flirtare con la compagna di scuola Maria. Alternando sarcasmo e visione storica, con anche intermezzi d’animazione, Avila racconta una storia prepotente e di fortissimo impatto emotivo con grande sensibilità, unita a una leggerezza che potrebbe sembrare difficile da trovare in una storia come questa, con la tragedia perennemente in agguato. Talento notevole quindi per un esordiente, ma Avila può fare ricorso a qualcosa che appartiene solo a lui perché la storia che racconta, per quanto un po’ modificata, è la sua. Tutto è autobiografico, compresa la vicenda della sorellina finita tra i bimbi rapiti e assegnati a famiglie fedeli al regime (che in realtà era un fratellino, ritrovato solo anni dopo grazie alle nonne di Plaza de Mayo).

, affidato spesso alla figura di zio Beto e il suo racconto cinematografico diventa così imperdibile. Ovunque sia stato presentato il film ha ottenuto un gradimento entusiasta da parte del pubblico facendo incetta di premi. E forse ha proprio ragione Avila quando dice che solo oggi si poteva concepire questa storia, considerata sino a qualche tempo fa sconvolgente e politicamente discutibile, con un taglio che lo porta a raccontare la tragedia senza farsi mordere dall’angoscia. Ancora una volta i bambini ci guardano, e lo fanno davvero, poco importa se si chiamano Juan oppure Ernesto. [do action=”citazione”]La «guerra sucia», la guerra sporca che fa sentire ancora oggi i suoi pesanti strascichi. Però, appunto, Avila non racconta con la tristezza che pure avrebbe avuto diritto di mettere in gioco, cerca di fare arrivare il dato drammatico della storia lasciando anche affiorare qualche sorriso[/do]

Domani invece si celebra l’omaggio a Nelson Pereira dos Santos, ottantatreenne regista brasiliano, presidente della giuria ufficiale che con Dora Jobim ha firmato un intenso documentario: A musica segundo Tom Jobim. Non contento di avere avuto la figlia come collaboratrice, Nelson ha voluto Paulo Jobim alla direzione musicale e Miucha Buarque de Holanda alla sceneggiatura (cantante, sorella di Chico, amica di Vinicius de Moraes, moglie di João Gilberto e sodale di Jobim, praticamente racchiude l’essenza della bossa nova e della musica brasiliana). Infatti il documentario è un inno alla musica di Jobim che parte subito mentre le immagini, in bianco e nero, con un aereo Panair do Brasil sorvola la Rio degli anni ’50 che irrompe alternata a alcune foto del musicista.

Si comincia con Elizeth Cardoso che in Pista de Grama (film del 1958 di Haroldo Costa) canta Eu não existo sem vocè, poi è Jean Sablon con A felicidade da Orfeo Negro di Marcel Camus del 1959). Da lì è tutta una carrellata di canzoni indimenticabili che Jobim ha sfornato offrendole al mondo. Pochi come lui hanno realizzato brani che sono stati interpretati da cantanti di ogni paese. Magari non tutti ricordano i titoli ma basta sentire qualche nota per essere immersi nella magia di quelle canzoni straordinarie.

Dalla collaborazione con il poeta De Moraes nasce l’indimenticabile Garota de Ipanema, La ragazza di Ipanema, che nel testo originale si trasforma in un canto d’amore e tristezza per la caducità della bellezza e dell’amore stesso. Talmente dirompente da diventare un trascurabile film. E ancora Desafinado, Insensatez, Il gioiello di Aguas de março cantata dallo stesso Jobim con Elis Regina. Sullo schermo sfilano in tanti, da Pierre Barouh a Henry Salvador, Silvia Telles, Dizzie Gillespie, Ella Fitzgerald, Sammy Davis jr., Judy Garland, Diana Krall, Sarah Vaughan, Gerry Mulligan, Oscar Peterson, Mina e Frank Sinatra con cui Jobim duetta.

Antonio Carlos Jobim, questo era il suo nome per esteso, ma la mamma per semplificare e permettere alla sorellina di chiamarlo lo aveva ribattezzato Tom, chiude la carrellata su infiniti applausi e un carro del carnevale di Rio, gigantesco, vestito di bianco con un pianoforte bianco a coda. Un’immagine fantastica prima che i titoli di coda riassumano tutti coloro che abbiamo visto con le canzoni che hanno interpretato. Un affresco musicale trascinante e gustoso (giusto per citare un sarcastico film cannibalesco dello stesso regista, Como era gostoso o meu frances), niente di più e niente di meno perché come dice Jobim «il linguaggio musicale è sufficiente».