La violenza torna a mostrare la sua forza nella regione dell’Ituri, nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Lo schema sembra quello che ha già caratterizzato altri conflitti nella regione dei Grandi Laghi e segue la linea di demarcazione che separa gli agricoltori (Lendu) dai pastori (Hema): i bantu dai nilotici.

NON C’È DA STUPIRSI, per controllare un territorio bisogna seguire la faglia della divisione e in alcuni territori funziona la separazione tra stranieri e autoctoni, in altri la linea è geografica (nord/sud), può essere poi linguistica o basarsi sullo stile di vita, sul lavoro e persino basarsi sulla vita intima. Occorre cercare una divisione che sia una ferita su cui mettere parole di sale che bruciano e poi l’altro deve essere meno persona, meno donna e meno uomo.

NELLA REGIONE DEI GRANDI LAGHI hanno la meglio i conflitti tra agricoltori e pastori, tra “istruiti” e contadini, ma non si tratta di categorie reali perché vi sono Lendu pastori e Hema contadini, ma costruite: comunità immaginate, ma con conseguenze vere.

Tuttavia, questa volta la dinamica appare meno schematica. In primis perché solo i Lendu sono armati; secondo, la milizia che ha lanciato l’offensiva (Forze democratiche alleate – Adf) è di matrice islamista: come racconta al telefono Gillaume, uno degli sfollati di Djugu arrivati a Bunia, «li avevamo già cacciato cinquanta anni fa e non erano più tornati finora. Ora non possiamo andare neanche nei campi a coltivare perché vengono e ci ammazzano».

LE Adf furono una creazione dei regimi di Mobutu Sese Seko in Congo e Omar al-Bashir in Sudan. L’idea era di poter usare la milizia per influenzare i processi politici in Uganda e arginare l’influenza del presidente Yoweri Museveni che a sua volta sosteneva gruppi anti Bashir in Sud Sudan come Splm e aveva i piedi in Congo.

Uganda e Ruanda ora sembrano muoversi insieme mentre in passato avevano sostenuto gruppi contrapposti. Terzo, i gruppi si stanno identificando con le categorie Hutu -Tutsi: i Lendu pensano a sé stessi come parenti degli Hutu, mentre gli Hema si identificano con i Tutsi. In stretta connessione con le dinamiche del genocidio che minacciano di trasformare la violenza in qualcosa di devastante.

PIÙ CHE UNA QUESTIONE ETNICA è una lotta per farsi padroni perché l’altro viene visto come invasore, le sue origini, nazionalità, identità, migrazioni, ricchezza sono oggetto di narrazioni che lo identificano come subumano, il sentimento che pervade è che gli altri hanno sempre comandato.

Ma anche questa è narrazione, perché sia gli Hema che i Lendu hanno invaso territori che “appartenevano” ad altri: Pigmei e Nyali. Infatti Hema e Lendu arrivano nell’Ituri tra il XVI e il XVII secolo, c’è una convivenza pacifica tra i due popoli che dà origine a un gruppo ibrido chiamato Gegere (sono Hema settentrionali che parlano il kilendu). Le prime tensioni si manifestano negli anni ’60 e sono legate alla terra. Verranno ulteriormente alimentate nel 1971 dalla «Legge Bakajika» che sancì la proprietà statale della terra: allo Stato la facoltà di concederla ai cittadini.

Di conseguenza sono concessioni che seguono l’appartenenza dei ministri in carica: nel 1977, il ministro dell’Agricoltura Dz’bo Kalogi, un Hema, distribuisce concessioni abbandonate agli Hema che vengono quindi considerati dagli altri come i nuovi coloni. Poi su tutto arriva nel 1979 la guerra di Museveni contro Idi Amin, che ha facilitato la proliferazione delle armi da guerra in Ituri.

 

Un operatore sanitario anti Ebola nella Rdc (Afp)

 

BUNIA, CAPOLUOGO DELL’ITURI, ha accolto oltre 300 mila sfollati e come ha spiegato Leila Zerrougui, capo della Monusco (la forza di pace delle Nazioni unite nel Paese), siamo di fronte a «situazioni di emergenza simultanee»: la guerra interetnica, Ebola e l’epidemia di morbillo. Ebola ha già ucciso più di 1.700 persone da quando ha iniziato a propagarsi nelle province orientali del Nord-Kivu e Ituri lo scorso agosto, il morbillo ha fatto 2.000 vittime e c’è una situazione di «grande sfiducia nelle comunità» anche nei confronti degli operatori umanitari. A questo si è aggiunta la violenza di Adf e dei Mai Mai. «Una confluenza di fattori che ha interrotto il processo di rientro dei rifugiati nelle loro case», ha affermato Zerrougui al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Solo nelle ultime settimane sarebbero state uccise 70 persone, molti si stanno muovendo verso l’Uganda attraverso il lago Alberto e verso Bunia.

Secondo l’Unhcr, il numero complessivo di sfollati dall’Ituri solo dai primi di giugno è di 300.000 persone. In precedenza vi erano stati significativi conflitti – nel 1999 e nel 2003 – che avevano provocato oltre 60 mila vittime e 500 mila sfollati.

LA SOLA COSTANTE che permane è l’interesse per le immense ricchezze del sottosuolo. L’Ituri è ricco di oro, le grandi miniere di Kilo-Moto scoperte nel 1903 da due cercatori australiani che hanno tirato fuori dalle vene della terra centinaia di quintali di pietre e milioni di dollari che alla popolazione dell’Ituri non hanno fruttato niente, a parte la ricorsività della violenza. L’Ituri ci insegna che la guerra dei poveri non finisce mai.