Con la «rimodulazione» dell’impegno militare della Francia e dei suoi alleati nel Sahel, confermata al termine del recente summit con i paesi del G5 Sahel, la regia di tutte le operazioni a guida francese nella regione saluta ufficialmente il Mali e prende la via del Niger. Ma il conflitto permanente con le diverse formazioni jihadiste attive nella zona è di per sé sconfinato e torna a infiammarsi proprio in Niger, nella regione di Tillaberi, dove le linee di demarcazione con Mali e Burkina Faso si confondono nel territorio detto appunto dei “tre confini”.

A PRENDERE DI MIRA domenica pomeriggio il villaggio di Tchoma Bangou, teatro già lo scorso gennaio di un eccidio di civili con 70 vittime, il solito raid in modalità “motociclistica”. Una pratica che le autorità si sono illuse di arginare con il divieto di circolazione dei mezzi a due ruote, in aggiunta allo stato d’emergenza in vigore dal 2017. Misura tanto più risibile a fronte di una “massa critica” come quella entrata in azione domenica: «Un centinaio di uomini pesantemente armati», riferisce il ministero della Difesa nigerino. I «terroristi» però stavolta hanno incontrato l’«immediata e vigorosa reazione» dell’esercito. Il bilancio diffuso dal governo parla di 49 morti così distribuiti: 4 civili, 5 soldati e 40 miliziani.

A Niamey, la capitale, che da questo campo di battaglia dista appena 100-150 chilometri, va rapidamente completandosi l’organico e la struttura della nuova missione internazionale “Takuba”, a trazione francese e in stretto coordinamento con le operazioni Usa in Africa occidentale come la vecchia, ma con l’inestimabile vantaggio per Parigi – rispetto a “Barkhane”, divenuta insostenibile economicamente e in termini di vite umane – che qui costi rischio d’impresa sono redistribuiti tra ben 12 paesi europei. Attratti a vario titolo dalla possibilità di intercettare i flussi migratori e conquistare una posizione di vantaggio in vista di futuri sviluppi (economici). L’Italia in questo scenario è già avanti, ha una sua base e circa 200 militari con compiti di «logistica e addestramento delle truppe locali».

LA MISSIONE “BARKHANE” però non andrà in pensione, o almeno non in tempi rapidi. La Francia ridurrà sensibilmente il numero delle truppe sul terreno, mantenendo l’unità scelta “Saber” pienamente operativa. Intanto l’allargamento del fronte europeo anti-jihadista è ossigeno, nel momento in cui i “soci” regionali di Parigi, militarmente riassumibili nel G5 Sahel, danno segni evidenti di irrequietezza. Anzi, due delle gambe su cui poggia la coalizione scricchiolano vistosamente. Il Ciad resta alle prese con una turbolenta transizione dopo la morte in combattimento del presidente Idriss Déby. E in Mali, dove si sono maggiormente concentrati fin qui gli sforzi militari francesi, ci risiamo con l’orgoglio ferito e il protagonismo golpista dell’esercito. L’Eliseo non ha digerito la mossa del colonnello Assimi Goïta e ancor meno l’avallo della nuova giunta militare da parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao). Ha avuto quindi buon gioco nell’annunciare l’immediato congelamento di ogni collaborazione militare con il Mali, mentre già il piano di smobilitazione delle sue basi era pronto. E il sentiero che condurrà il neo-premier Maïga a ricucire già segnato.

ORA A PARIGI (E ROMA A RUOTA) si punta forte sul neo-presidente del Niger Mohamed Bazoum. In Mali però, dopo l’ascesa delle confraternite islamiche sociali e in particolare dell’imam conservatore Mahmoud Dicko in seno al Movimento 5 Giugno (M5 – Rfp), cui sembra aver giovato l’ultimo riassetto di potere, la Francia si lascia dietro anche l’irricevibile prospettiva di trattative in corso con i gruppi che da quasi dieci anni cerca inutilmente di estirpare dal terreno: da ultimi il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim) d’ispirazione qaedista e lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs). Un orizzonte che il tempo rende meno indicibile, mentre il meccanismo della risposta militare compulsiva mostra tutta la sua inefficacia anche quando si sbandierano “successi” come quello di Tchoma Bangou.