Nella sede de il manifesto, a Roma nel 1983, incontrai per la prima volta Aldo Natoli. Tra le sue iniziative, c’era anche l’impegno per la pace israelo-palestinese. Da allora, per me arrivare a Roma e sentire il bisogno di incontrare Aldo, fu tutt’uno. Potevo parlare con un maestro brillante e caloroso la cui analisi della realtà e dei problemi era priva di dogmatismo. Nel tempo, partecipammo insieme ad alcune riunioni e grazie a lui mi fu più facile e più chiaro capire che la pace è seriamente collegata alla necessità di una «Europa senza Nato né Patto di Varsavia».

La guerra del macellaio di Mosca Putin e della sua banda di plutocrati è criminale. L’occupazione dell’Ucraina, totale o con un obiettivo ristretto solo ad alcune regioni, va condannata senza tentennamenti, e tuttavia senza dimenticare alcune questioni profonde che ancora contano in Europa. Questioni che minacciano il mondo intero, influenzando e pesando anche su altri conflitti, come il «nostro»: la pace dimenticata, la guerra israelo-palestinese.

Il docente statunitense George Breslauer, esperto di affari europei, non risparmia le critiche a Putin ma sottolinea che nell’ultimo anno la necessità di una trattativa fra Russia e Stati uniti era evidente e avrebbe potuto evitare l’attuale guerra.
Vista da Israele, la guerra è una faccenda piena di complicazioni. La dipendenza dagli Stati Uniti è chiara ed è diventata più evidente qualche settimana fa, quando gli statunitensi hanno approvato ulteriori aiuti, destinati quest’anno ad arrivare a quasi 5 miliardi di dollari. Il governo israeliano è molto soddisfatto dell’enorme sostegno di Washington, ma ha anche avanzato critiche a Biden per l’imminente accordo sul nucleare iraniano.

Ma l’Iran è visto come il grande nemico, lo slogan è sempre lo stesso: «Vogliono liquidarci, sponsorizzano il terrorismo» e così quasi quotidiani sono gli attacchi aerei israeliani sulle forze iraniane (e di Hezbollah) in Siria. Questo appare possibile grazie ad accordi segreti con Putin (il quale ugualmente vorrebbe mandare via dalla Siria le forze dell’Iran). Le versioni ufficiali israeliane non nascondono che l’accordo con i russi garantisce a Tel Aviv libertà d’azione.

La mossa del primo ministro Naftali Bennett il quale, violando la santità del sabato (per chi è religioso), è andato a Mosca per mediare tra russi e ucraini, è stata considerata un enorme risultato diplomatico anche se probabilmente non porterà a nulla; le fonti diplomatiche israeliane si sono affrettate a sottolineare che gli statunitensi sapevano e non si sono opposti.
Alcuni fastidiosi critici in Israele hanno fatto notare che Bennett, se è stato così volenteroso da recarsi a Mosca per mediare, potrebbe saggiamente iniziare a negoziare con i palestinesi. Ricordiamo che, entrando in carica, aveva annunciato che il suo governo non si sarebbe occupato di questioni di pace e guerra.

In Israele la maggioranza dell’opinione pubblica condanna la guerra criminale di Putin ed è solidale con il popolo ucraino. Parlando con un farmacista palestinese, gli ho detto che la maggioranza degli israeliani sono contro l’occupazione… mi ha guardato molto preoccupato per la presenza degli altri clienti, finché non ho chiarito che mi riferivo all’Ucraina e allora tutti si sono calmati.
I confronti sono sempre impropri, certamente. Ma quando vedo l’enorme e criminale distruzione di città, ospedali, edifici, queste immagini mi ricordano il disastro di Gaza… Certo, non vanno dimenticati i missili di Hamas, ma le vittime civili, i bambini palestinesi non mi sembrano necessariamente diversi dagli ucraini che vengono uccisi in questi giorni.

L’Europa apre le porte a coloro che fuggono dalla guerra, si parla già di oltre tre milioni di rifugiati. «Fortunatamente» non sono neri e questo sembra facilitare l’enorme, umana accoglienza.
Sì, le lezioni dell’Olocausto non devono essere dimenticate… e l’antisemitismo va condannato senza attenuanti. Ma ricordare significa anche adottare valori fondamentali. Valori che dovrebbero essere validi per tutti, compresi gli israeliani e gli ebrei.
Arrivano rifugiati in Israele. «Per fortuna non sono di colore»; questi ultimi sono discriminati, vivono in condizioni molto precarie – non si applicano le convenzioni internazionali. Ora stanno arrivando rifugiati dall’Ucraina… benvenuti ebrei! Ci aiuteranno a rafforzare il progetto nazionale.

Attenzione, attenzione! grida il ministro dell’interno che sorveglia le nostre frontiere. Nessun ebreo snaturerà il progetto nazionale. Le critiche violente di non pochi – soprattutto dei sopravvissuti all’Olocausto -, la reazione in Israele e all’estero ha portato a un ammorbidimento delle norme razziste e rigide del ministro di ultradestra.

Profughi non ebrei? «Grazie» alla guerra è stato anche possibile riprendere i regolamenti che impediscono ai palestinesi di Israele o dei territori occupati di riunire legalmente le loro famiglie. Fino a poco tempo fa la giustificazione era la sicurezza: ci sarebbero 40 casi di palestinesi che hanno usato questo status legale per partecipare ad azioni legate – oppure no – al «terrorismo». Ora la ministra e i suoi compari hanno detto che questa è anche una necessità demografica.

Il razzismo imperante, i negoziati che vengono evitati – parlo di quelli tra israeliani e palestinesi -, la violenza continua dell’occupazione israeliana nei territori, il popolo palestinese quasi dimenticato, rendono urgente un cambiamento di rotta. In Israele la lotta deve essere contro il razzismo, e contro l’occupazione militare qui, non solo in Ucraina.

Quanto all’Europa, non deve solo ricordare il premier Kreisky che fu capace di affermare la neutralità dell’Austria, senza scontrarsi con la Nato. Gli europei dovranno anche chiedersi se una posizione politica forte come quella che hanno oggi nel caso dell’Ucraina non sia necessaria anche quando la guerra riprenderà qui e la forza militare di Israele colpirà ancora una volta migliaia di palestinesi.