Il tema della guerra ha avuto una ricezione alterna nella storiografia; per un certo periodo, sulla base di un presupposto in larga parte ideologico, è stato rigettato a favore di altre tematiche, lasciando il campo a pochi coraggiosi, come Franco Cardini in Italia e Philippe Contamine in Francia, il primo favorendo interpretazioni di taglio storico-antropologico, il secondo piuttosto politico-istituzionali. Restava, caso a parte, la tradizionale storia militare di stampo anglosassone, a suo modo intramontabile.

DAGLI ANNI NOVANTA del secolo scorso in poi si è assistito a un ritorno di interesse con esiti diversi. Tra i primi in Italia a volgersi al tema è stato Aldo A. Settia, partito soprattutto come storico dell’incastellamento e approdato alla storia militare nella quale hanno ampio spazio le tecniche, ma anche i contesti e le storie individuali. Il suo Battaglie medievali (il Mulino, pp.356, euro 25) è dedicato alla società italiana bassomedievale, percorsa da una conflittualità che sfocia in alcuni grandi combattimenti, come quello di Legnano (1176) e di Montaperti (1260).
D’altra parte, anche sotto questo profilo l’Italia dell’epoca era all’avanguardia, trovandosi a stretto contatto con le tecniche ereditate (seppure con consistenti semplificazioni) dal mondo antico via Bisanzio, e conoscendo sviluppi nelle città comunali e nell’avanzatissima poliorcetica normanna.

UNA MISCELA ESPLOSIVA, soprattutto perché le occasioni di scontro non mancavano: discese di imperatori, guerre tra guelfi e ghibellini o tra fazioni cittadine erano anzi costanti. Settia accompagna con padronanza il lettore attraverso aspetti differenti del combattimento: da quelli più consueti quali gli accampamenti e le tattiche, ad altri meno noti come i timori dei combattenti, la ricerca di un sostegno alcolico per reggere la tensione, lo spirito di corpo, lo sperpero del denaro guadagnato dai combattenti che sembra un esorcismo contro i pericoli corsi in guerra. L’approccio diretto alle fonti permette di fornire un quadro di prima mano non superficiale e alla fine si esce dalla lettura con la sensazione che certe dinamiche di fondo siano, antropologicamente, le stesse (l’essere umano dinanzi all’ansia e al pericolo), sebbene in contesti e culture molto distante dalla nostra, nelle quali il valore militare era funzione essenziale del comando, e la guerra prerogativa non dei poveri, ma in primo luogo di sovrani che si guadagnavano anche sui campi di battaglia il diritto a regnare.