Adesso ci sono anche le opinioni «personali» del presidente del Consiglio. Nel governo delle marcature strette, neanche a Giuseppe Conte è consentito parlare a nome dell’esecutivo che si suppone stia guidando. Ad Assisi, ispirato da un incontro con ragazze e ragazzi di tutto il mondo organizzato dai francescani, il presidente del Consiglio ha detto di volere che «nel paese e in parlamento si avvi una riflessione serena senza reazioni emotive» sullo ius soli, in cui si valuti «la nascita sul territorio italiano, collegandola a un percorso di integrazione serio». Anche se, ha subito aggiunto, il tema «non fa parte del contratto di governo».

Si sa che la Lega è contrarissima, ma anche i 5 Stelle hanno da tempo abbandonato la linea favorevole allo ius soli, per il quale pure avevano presentato una proposta di legge appena arrivati in parlamento, sei anni fa. Stavolta però Salvini non ha dovuto nemmeno battere ciglio. Perché appena la timida apertura di Conte ha cominciato a circolare, si è fatto sentire dagli Stati uniti Luigi Di Maio. «Non comprendo tutto questo trambusto dietro le dichiarazioni del presidente del Consiglio. Conte ha specificato che lo ius soli non è nell’agenda di governo e io lo confermo», ha detto il capo dei grillini. Non c’era però stato alcun trambusto, se non le prevedibili critiche della destra, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Due o tre dichiarazioni, niente di notevole: si tratta pur sempre di partiti ufficialmente all’opposizione. A Di Maio però interessa chiudere subito il discorso, anche al costo di esporre pubblicamente il presidente del Consiglio a una tirata di orecchie: «Lo ius soli non sarà una misura che questo governo discuterà. La riflessione auspicata dal premier riguarda una sua sensibilità. Legittima, per carità, ma personale».

E così il catalogo delle «riflessioni personali» si allunga, quel genere di proposte che consentono a uno o all’altro degli alleati di governo di dichiararsi non d’accordo. Sempre Di Maio ieri ha aperto il capitolo armi, facendo notare che è stata assegnata alla prima commissione della camera una proposta di legge firmata da settanta deputati leghisti che vogliono rendere più facile l’acquisto di armi letali. Raddoppiando la potenza delle pistole e dei fucili ad aria compressa a vendita libera. All’indomani dell’approvazione definitiva della legittima difesa, altra legge di impronta leghista, Di Maio ha detto che i 5 Stelle non voteranno mai una legge per incentivare la vendita di armi. E lo stesso Conte ha giurato che «non è un obiettivo del governo». Salvini ha fatto spallucce: «Non voglio mezza pistola in più in giro, invito l’amico Di Maio a occuparsi di ciò che il parlamento farà, non di quello che non è all’ordine del giorno».

La guerra fredda tra alleati va avanti, prima conseguenza dell’annunciata intenzione dei grillini di provare a recuperare il consenso perduto mettendo in difficoltà l’alleato. Senza rinunciare all’ultima parola. «Siamo felici di sapere che, malgrado le settanta firme, la Lega sia contraria Meglio così – replica infatti il gruppo 5 Stelle alla camera – abbiamo chiuso un tema prima di aprirlo».
Ma c’è, al contrario, anche un tema aperto di nuovo, dopo che la maggioranza l’aveva chiuso giovedì in aula alla camera, si tratta delle norme per combattere il revenge porn. Travolti dalle critiche per aver detto no agli emendamenti proposti dall’opposizione per inserire il tema nella legge sulle violenze di genere, i 5 Stelle sono i più veloci a cambiare idea. Di Maio prova persino a scaricare sugli altri la responsabilità: «A noi non importa avere la paternità del provvedimento», giura.

E indica la via d’uscita, da martedì prossimo alla camera: «Si può anche votare l’emendamento e poi approvare al rima possibile il disegno di legge della senatrice Evangelista», del M5S. Anche Conte dice che si farà così e persino Salvini a questo punto concorda, smentendo così la chiusura della maggioranza durante le votazioni in aula. Ma la ministra leghista Bongiorno, per difendere la legge sulla violenza di genere, scrive che il fatto che il pm dovrà sentire chi denuncia una violenza entro tre giorni servirà a capire «se si ha a che fare con un’isterica». Poi si vergogna e ritira il tweet senza scusarsi. Non può però ritirare un’intervista al Gazzettino del giorno prima. «Donna isterica» era già lì.