Una buona parte di ciò che accadrà in Siria nelle prossime settimane è nelle mani di Barack Obama. La questione del presunto uso di gas nervino Sarin da parte delle forze governative siriane contro i ribelli, potrebbe spingere Barack Obama ad ordinare il secondo intervento militare Usa della sua presidenza contro un Paese arabo, dopo quello libico di due anni fa. Il presidente americano esita, almeno in apparenza. «Tutte le opzioni sono sul tavolo…tra queste la forza militare è compresa, ma non è la sola», ha precisato ieri il portavoce della Casa Bianca Jay Carney. L’Amministrazione però è sotto pressione. Prima di tutto dei ribelli siriani che chiedono a Obama «di mantenere la parola» – il presidente ha più volte detto che l’uso di armi chimiche supera la «linea rossa» – e  che attraverso il loro braccio politico, la Coalizione Nazionale , hanno già chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di intervenire. Poi ci sono la lobby della guerra in seno al Congresso e Israele. Il governo Netanyahu chiede un’azione di forza. «La comunità internazionale deve assumere il controllo degli arsenali chimici di Bashar Assad», ha detto ieri il vice ministro degli esteri Zeev Elkin.

L’altro giorno la Cnn ha trasmesso ore di diretta, con interviste, commenti, reazioni da tutto il mondo, sui «Diversi gradi di certezza» dell’Ammistrazione Obama sull’uso di armi chimiche contro i ribelli. E si sono riascoltate espressioni (insopportabili) passate alla storia come «si cerca la pistola fumante», ossia la prova definitiva, usate dai media americani e dall’ex presidente George W. Bush per preparare e giustificare l’invasione dell’Iraq dieci anni fa. Anche questa volta come allora tutto è così vago, legato ad informazioni fornite da agenti della Cia su due casi di utilizzo di armi chimiche: il 19 marzo ad Aleppo e in alcuni quartieri di Damasco. Il clima in ogni caso è quello che prelude ad un’azione di forza. L’Europa tuttavia frena (ad eccezione di Gb e Francia che vogliono la guerra, senza inviare soldati) e questo rende meno agevole un possibile intervento della Nato a cui continuano a far riferimento gli americani. L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Catherine Ashton, attraverso il suo portavoce ha ribadito ieri che non ci sono prove schiaccianti e che occorre «vedere cosa è realmente accaduto, perchè per ora non sembra interamente chiaro».

La spiegazione più convincente di tante denunce senza prove inconfutabili dell’uso di armi chimiche, è la decisione americana e di alcuni alleati di imporre – utilizzando le basi della Nato in Turchia – una «zona di interdizione al volo» su tutta o gran parte della Siria per impedire alle Forze armate siriane l’impiego dell’aviazione e  l’uso degli aeroporti per i rifornimenti di pezzi di ricambio e armi. Una decisione che è figlia anche di una constatazione: i ribelli nonostante gli ingenti aiuti finanziari e di armi che ricevono, non riescono ad avere la meglio sull’Esercito. E considerando che Israele è fortemente contrario alla consegna di batterie di missili antiaerei all’opposizione anti-Assad («potrebbero finire in mani sbagliate»), al momento ad Obama resta solo la «no-fly zone» per tenere a terra l’aviazione siriana e dare un aiuto militare concreto ai jihadisti e a tutti gli altri che combattono contro Damasco.

Tutto ciò mentre le forze governative sono impegnate, come ben spiega un lungo servizio messo in rete dall’agenzia di stampa francese Afp, in un’offensiva volta a riprendere il controllo di tutte le principali arterie stradali e dei territori di confine con il Libano e la Giordania per impedire la creazione di «zone cuscinetto» . Ben lontano dal frantumarsi come alcuni avevano previsto, l’Esercito siriano continua a rimanere sufficientemente compatto. Anche se non ha abbastanza uomini perchè decine di migliaia di giovani e di riservisti non rispondono alla chiamata alle armi, oppure sono nei campi profughi all’estero o sono passati ai ribelli. Damasco però ha costituito nei villaggi e nelle zone rurali i “Comitati di Difesa Nazionale”, composti soprattutto da siriani di fede alawita o appartenenti ad altre minoranze, che svolgono sul terreno il ruolo di controllo dell’Esercito. Per i ribelli perciò è più complicato stabilire roccaforti nei villaggi nel centro e nel sud della Siria, l’area strategica nella quale si gioca gran parte della partita militare in corso, anche se riescono ad effettuare profonde incursioni di disturbo nella stessa Damasco, come è avvenuto ieri. Solo la «no-fly zone» e la conseguente fine della superiorità aerea dei governativi può spostare il conflitto armato dalla parte dei ribelli.