In Brasile, come quasi ovunque, il Covid-19 non è affatto «come la pioggia» – Bolsonaro dixit -, che bagna tutti allo stesso modo, dal momento che neri e indigeni vengono contagiati cinque volte di più rispetto ai ricchi e ai bianchi.

L’ultimo bollettino della Sesai, la Segreteria speciale per la salute indigena vincolata al ministero della salute, parla di più di 12mila contagi e di 233 decessi, la maggior parte dei quali nella regione amazzonica. Ma secondo i dati dell’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil (Apib), i positivi al Covid-19 sarebbero oltre 14mila e i morti più di 500.

E se, come ha dichiarato l’Apib, «quanti sono in connessione con l’utero della Terra non muoiono mai», certamente rappresenta una dura perdita per tutti i popoli indigeni la scomparsa, martedì scorso, di una grande fonte di ispirazione come il leader guarani Domingo Karai.

O, precedentemente, quella della 75enne Bernaldina José Pedro, una delle più note leader macuxi, il cui nome è legato in particolare alla lotta per l’’espulsione degli invasori dall’area indigena Raposa Serra do Sol, o del grande leader macuxi di Roraima Dionito José de Souza Macuxi, 52 anni, impegnato nelle attività di controllo e di protezione delle comunità di fronte alla pandemia.

O, ancora, di José Carlos Ferreira Arara, tra i più prestigiosi leader dell’area indigena Arara da Volta Grande, nella regione dello Xingu, nel cui villaggio aveva ospitato importanti riunioni tra i leader indigeni, a una delle quali aveva preso parte anche il regista James Cameron, subito dopo il lancio del suo film Avatar.

Ma la sorte più triste è quella di tre donne sanöma, gruppo di etnia yanomami, a cui non sono stati restituiti i corpi dei loro figli piccoli, morti di Covid, probabilmente seppelliti a Boa Vista. Una violenza impensabile per i popoli yanomami, i quali cremano sempre i corpi dei defunti, con un lungo e complesso rituale che si prolunga per mesi, se non per anni.

«Per queste donne, sapere che i figli sono stati seppelliti nel cimitero nella città è come, per una donna bianca, accettare l’idea che il corpo di suo figlio sia abbandonato ed esposto nella pubblica piazza», ha spiegato Sílvia Guimarães, docente di Antropologia dell’Università di Brasilia. «Non c’è peggiore affronto e più grave sofferenza per gli yanonami che far “sparire” i loro morti», ha ribadito l’antropologo francese Bruce Albert.

L’estrema vulnerabilità dei popoli originari aveva spinto il Congresso ad approvare un piano di emergenza per la prevenzione e il contrasto al Covid-19 nei territori indigeni e quilombolas (popolazione tradizionale afrodiscendente), ma ci ha pensato Bolsonaro a togliergli forza, annullando, tra l’altro, l’obbligo da parte del governo di somministrare acqua potabile, di distribuire gratuitamente materiale sanitario e di assicurare posti di terapia intensiva alle comunità originarie, come pure di facilitare l’accesso di indigeni e quilombolas agli aiuti di emergenza.

I veti posti dal presidente – la cui popolarità, stando all’ultimo sondaggio, è persino in ripresa, con un tasso di approvazione del 30% – hanno suscitato una profonda indignazione tra le forze sociali, politiche e religiose, inducendo il senatore del partito Rede Fabiano Contarato a denunciare Bolsonaro presso l’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni unite per la mancata protezione dei popoli indigeni.

Prima ancora, l’Apib, insieme a sei partiti politici, si era rivolta alla Corte suprema perché obbligasse il governo a introdurre barriere sanitarie per proteggere le aree indigene dall’avanzata della pandemia, provvedendo all’immediata espulsione degli invasori, anche, se necessario, con l’uso delle forze armate.

«L’irresponsabilità sanitaria del governo federale – ha denunciato l’Apib – si è unita all’aperto razzismo istituzionale contro i popoli indigeni», con il conseguente «pericolo di sterminio di intere etnie, soprattutto di gruppi isolati».

Non va meglio neppure per le comunità quilombolas tra le quali, a partire dal primo decesso dell’11 aprile, si registra, secondo la Conaq (Coordenação Nacional de Articulação das Comunidades Negras Rurais Quilombolas), una media di 1,5 morti al giorno in 11 stati.

Tra loro anche una delle leader quilombolas più importanti di Rio de Janeiro, Carivaldina Oliveira da Costa, nota come Doña Uia, una «biblioteca vivente», come l’ha definita la nipote Jane Oliveira, ricordandone il ruolo determinante nella diffusione della storia del suo popolo.

Si tratta, spiega la coordinatrice della Conaq Givânia Silva, di comunità – 6.330 in tutto il paese – estremamente vulnerabili, in quanto escluse dai servizi di salute perché lontane dai grandi centri e prive di accessi all’acqua, all’energia, a Internet.

Come denuncia per esempio Magno Nascimento, leader dell’associazione quilombolas Malungu, in Pará, nel suo Stato nulla è stato fatto a favore delle comunità afrodiscendenti: nessun piano d’azione, nessuna campagna educativa, appena la distribuzione di 300 litri di alcol e di 19mila mascherine, appena sufficienti per il 50% delle famiglie.