Il nuovo record negativo non ha sorpreso nessuno. Il dollaro nei giorni scorsi ha sfondato la soglia delle 2000 lire siriane e il costante ribasso della valuta comprometterà il già limitato potere di acquisto della popolazione. Nulla lascia immaginare una inversione di tendenza. Sono tanti e purtroppo consolidati i motivi della crisi economica che rischia di affondare il paese. La guerra in realtà non è finita anche se l’esercito siriano e le milizie alleate hanno ripreso il controllo di buona parte del territorio. La ricostruzione non è mai cominciata a causa delle pressioni degli Stati uniti e di vari Stati europei, Francia in testa, sull’Onu e le agenzie internazionali. Lo scopo di questi paesi è rendere difficile la vita al presidente Bashar Assad, in realtà la complicano solo alla popolazione siriana. E anche la Russia ha rallentato il suo impegno. E presto contro la Siria entreranno in vigore altre sanzioni dell’Amministrazione Trump.

 

La svalutazione della lira siriana nei confronti del dollaro dal 2011 a oggi (fonte Syria Report)

 

 

Pesa inoltre il blocco dei conti bancari in Libano dove i siriani più facoltosi hanno depositato somme significative negli anni passati, così come la riduzione delle rimesse degli emigrati frutto dell’emergenza coronavirus. Che la situazione economica siriana sia fortemente peggiorata lo conferma anche lo scontro frontale in atto tra Assad e il suo cugino miliardario Rami Makhlouf. Il conflitto non è frutto di questioni personali e di lotta per il potere come hanno scritto e detto alcuni, bensì dell’urgenza del governo di attingere ai grandi patrimoni per procurarsi, al più presto, fondi aggiuntivi, essenziali in questa fase.

In gioco c’è la solidità del potere, che passa anche dalla capacità dell’esecutivo di garantire un minimo di stabilità alla popolazione civile, esausta, che ogni giorno fa i conti con disoccupazione, carovita, corruzione, scarsità di carburante e la progressiva scomparsa del welfare per mancanza di fondi. Siamo nel pieno della mietitura e mai come quest’anno il raccolto di grano è centrale per i programmi del governo. Un dato è già noto: non sarà sufficiente a coprire la domanda interna (4,3 milioni di tonnellate). Damasco perciò è impegnata, più degli anni passati, a garantirsi altro grano sul mercato internazionale, con esiti talvolta positivi – di recente è stato siglato un accordo con l’alleata Mosca che però copre solo una parte della richiesta siriana – e altri meno fortunati. A complicare le cose c’è anche la competizione con l’Amministrazione Autonoma curda nel Rojava per l’acquisto del grano dai produttori.

 

Il tycoon siriano Rami Makhlouf

 

La Siria nel 2019, secondo le statistiche della Fao, è stata uno dei dieci paesi più colpiti dall’insicurezza alimentare (a rischio circa 6,5 ​​milioni di persone). Anni di guerra e di frammentazione territoriale hanno fatto danni enormi. Anche la siccità ha colpito duro. Nel 2018 la produzione di grano è stata di soli 1,2 milioni di tonnellate, la più bassa dal 1989. La siccità ha colpito principalmente Raqqa, Deir e-Zor, Hasakah e Aleppo nel nord, e Hama nella Siria centrale. Queste aree complessivamente rappresentano il 96% della produzione totale di grano in Siria. A peggiorare le cose è il sensibile aumento degli incendi di terreni agricoli, non poche volte di origine dolosa innescati da speculatori che puntano al rialzo dei prezzi e, più di rado, da gruppi armati di vario orientamento che sperano aumentare le difficoltà del governo di Damasco di fronte alla popolazione. L’anno scorso sono andati in fumo quasi 85.000 ettari di colture e nel 2020 non andrà meglio. Dati sconfortanti per un paese che un tempo era noto per l’attenzione che dava alla produzione agricola e all’autosufficienza alimentare.

«Occorrono quasi tre milioni di tonnellate di grano per mettere al sicuro il paese nel 2020 e nella prima parte del 2021, altrimenti non ci sarà farina a sufficienza per il pane e per sfamare la popolazione», ci spiega un giornalista siriano che ha chiesto di rimanere anonimo. «Dopo il lockdown dell’economia proclamato dal governo per contenere la pandemia – aggiunge – il pane a basso costo, grazie ai sussidi dello Stato, è diventato ancora di più una linea rossa per i siriani, soprattutto per quelli che appoggiano Assad». Un mese fa, durante una riunione con il governo, il presidente ha ammesso che «la sfida più difficile è garantire beni di prima necessità (alla popolazione), in particolare i generi alimentari». Quindi ha rimosso il ministro del commercio interno e della protezione dei consumatori, Atef al-Naddaf. Al suo sostituto, Talal al Barazi, è stato dato l’incarico di percorrere ogni strada possibile per tenere bassi i prezzi dei generi alimentari, sottraendoli a monopoli e contrabbando.

I problemi di fondo del settore agricolo siriano non sono destinati a cambiare, almeno non nel medio periodo.

 

Hafez al Assad, ex presidente e padre dell’attuale capo di stato siriano Bashar al Assad (foto Wikimedia Commons)

Negli ultimi nove anni la produzione di grano si è quasi dimezzata, scendendo da 4,1 milioni di tonnellate nel 2011 a 2,2 milioni nel 2019. La guerra è solo una delle cause del calo. Un impatto notevole l’ha avuto il liberismo economico introdotto a partire dal 2005 da Assad e dai suoi esperti. La priorità è stata data alla crescita dei settori bancario, turistico, immobiliare e delle telecomunicazioni – facendo la fortuna di personaggi come Rami Makhlouf e Firas Tlass – ed è stata messa da parte la vecchia guardia baathista, più socialista e legata al padre del presidente, Hafez al Assad, che aveva sempre dato grande rilievo all’agricoltura. Dal 2005 al 2009, il tasso di crescita del settore è sceso in media dell’1,5% e 600.000 lavoratori – il 44% della forza lavoro agricola – hanno lasciato il settore. Tra il 2007 e il 2008, l’area totale dedicata alla produzione di grano è diminuita di 180mila ettari. La guerra giunta nel 2011 ha fatto il resto. Molti agricoltori siriani ora sono profughi in Siria, Libano e Giordania e i danni ai sistemi di irrigazione e ai macchinari e i prezzi elevati dei fertilizzanti non lasciano immaginare un loro ritorno. La Siria granaio del Medio oriente ormai è solo un lontano ricordo.