Antonio Di Pietro, uno dei tanti ex protagonisti della vita politica nella seconda Repubblica desaparecidos, spunta al Senato, ma si allontana subito quasi furtivamente: «Io mi sono messo in anno sabbatico: tanto qui al momento non si capisce assolutamente niente». Sintesi perfetta. L’elezione del presidente Mattarella è stata una bomba che ha completamente dissestato le mappe politiche. Ridisegnarle è per ora impossibile.

Forza Italia ha archiviato i giorni sereni del Nazareno e si avvia a un’opposizione modello Salvini. Sin qui nessun dubbio. E’ stato il capo in persona a spingere il presidente della commissione Affari costituzionali Sisto a dimettersi da relatore sulle riforme istituzionali, atto in parte dovuto ma che sta anche a rappresentare plasticamente la fine del percorso comune sulle riforme. I giornali di casa hanno cominciato a cannoneggiare come ai vecchi tempi e Brunetta, solerte, ha presentato i suoi 800 emendamenti, onorando così il patto ostruzionistico firmato ad Arcore con la Lega. Ma se la linea del sovrano è chiara, quella del suo partito non lo è affatto. Alla Camera le votazioni sulla riforma istituzionale sono andate in ordine sparso. Ognuno vota come gli pare e secondo logiche imperscrutabili: perché mai, ad esempio, proprio i deputati più vicini al ringhioso Brunetta hanno votato spesso a favore della riforma? Qualche fittiano si risente: «Ma qui non è cambiato proprio niente!». Errore: non è che il tradito del Nazareno stia facendo il doppio gioco. E’ solo che nemmeno lui capisce più bene come muoversi, voto per voto.

Oggi il capo riunirà le sue truppe parlamentari, per disporre il passaggio alla guerra aperta e riportare così un po’ d’ordine. I verdiniani, che la svolta non la volevano né poco né punto ci saranno, così come i berlusconiani doc, che obbediranno ma con l’entusiasmo di un tapiro assopito. Invece non ci saranno i fittiani, cioè i soli che detta svolta dura la chiedessero da mesi. Dovrebbero essere i più contenti: sono i più incarogniti. Bisogna capirli: volevano sì la sterzata di linea, ma in tandem con il ricambio della direzione. Adesso rischiano di vedersi sfilare la bandiera dell’opposizione dura però senza che vengano toccate le poltrone.

Poi c’è la legge elettorale, roba che un’opposizione spietata ci andrebbe a nozze. In effetti c’è chi si dà da fare per organizzare un fronte comune Fi-minoranza Pd che imponga le preferenze e soprattutto costringa la legge a tornare nel delta del Mekong, pardon al Senato. Ma i forzisti recalcitrano, perché in fondo la decapitazione delle preferenze era una loro richiesta, e la minoranza Pd chi sa più cosa abbia in mente? Con l’elezione di Sergio Mattarella si erano sentiti di nuovo sulla cresta dell’onda, dunque abbastanza pacificati. Poi Renzi ha cominciato a prenderli di nuovo a sganassoni e adesso nemmeno loro sanno più come posizionarsi. Avranno tempo per decidere. La legge che doveva correre a perdifiato si è fermata. Di questo passo se ne parlerà più o meno in estate.

Alla confusione degli azzurri e dei quasi-rossi bisogna aggiungere l’incognita del nuovo gruppo che dovrebbe formarsi al Senato per dar man forte al vincitore. Non passa giorno senza che qualche senatore annunci, in apposita intervista, che il soccorso è pronto. Però ognuno vaticina un numero di transfughi da ciascun gruppo parlamentare diverso. I forzisti dissidenti saranno venti. Macché: sei o sette. Gli ex grillini sono pronti. In quanti? Quattro, sei, no no diciassette. Più che calcolo politico pare la Morra.

Comunque il governo una maggioranza ce l’ha, senza bisogno di ricorrere ai voltagabbana di turno. Vero, ma fino a un certo punto. L’Ncd è anch’esso in liquefazione. La stragrande maggioranza dei senatori continuerà a sostenere il governo: sulla base non di strategie politiche, che da quelle parti solo parlarne ormai è una barzelletta, ma degli interessi delle correnti locali. I calabresi e i siciliani, fortissimi, ritengono che gli faccia ancora comodo tenere bordone a Matteo Renzi, soprattutto nella prospettiva di un ministero del Sud che rinverdirebbe i fasti della Cassa per il Mezzogiorno. Dovesse mutare la convenienza, non ci sarebbero più loro e non ci sarebbe più la maggioranza.